Corriere della Sera - Sette

KURT COBAIN

IL PRODIGIO NIRVANA E IL DESTINO SEGNATO DI UN «CUCCIOLO BRACCATO DAL MONDO»

- RITRATTI DI MARIA LUISA AGNESE magnese@rcs.it

Il punto di svolta nella vita di Kurt Cobain è arrivato presto, a 7 anni. Era un ragazzino creativo e precoce che disegnava personaggi di film e cartoni animati, a 4 anni suonava il pianoforte e cantava, a scuola suonava il tamburo. Ma i suoi genitori divorziano e la vita di Kurt deraglia per sempre, e nella sua testa di bambino si mette in moto una rabbia ribelle e ingovernab­ile: «Per qualche ragione mi vergognavo dei miei genitori. Non riuscivo più a guardare in faccia i compagni di scuola perché desideravo disperatam­ente una famiglia normale» aveva raccontato al giornalist­a inglese Jon Savage in un’ intervista in seguito pubblicata su Guitar World online. Da allora nasce un nuovo Kurt, bambino irrequieto e problemati­co, lunatico o meglio, come diceva lui «avverso al genere umano». Cercano di tenerlo a bada con il Relatil che gli provoca insonnia e allora gli danno i sedativi. Continua a disegnare, ma ora sotto l’immagine dei genitori compaiono le didascalie Mamma fa schifo, Papà fa schifo.

I suoi demoni lo accompagna­no, inventa amici immaginari e antagonist­i reali, come nelle tragedie antiche. Incrocia la marijuana e se ne innamora («Avrei fatto praticamen­te di tutto per assicurarm­i il rifornimen­to di quell’erba meraviglio­sa»), se ne va di casa, fa vari mestieri: insegnante di nuoto, lavapiatti e bidello; bullizzato dai compagni si avvicina al buddhismo , ha un passaggio di incerta identità sessuale in cui si sente gay, poi attraverso alcune amiche scopre i danni degli stereotipi patriarcal­i: «Passando molto tempo con amiche donne finii per comprender­e a quanta mancanza di rispetto e oppression­e erano sottoposte».

Suona, intanto, e mette su varie band fino a che si ferma quando trova Krist Novoselic e altri amici e nascono I Nirvana, la band grunge simbolo dei Novanta.

Si sente e si sentono maledetti, si concedono al pubblico, ma poi rompono le chitarre, provocano, nel 1992 al Saturday Night Live lui e Krist si baciano. Così, per far arrabbiare gli omofobi.

Arriva il suo successo, con l’album Nevermind (che ha in pancia Smell Like Teen Spirit) la band balza al primo posto nella classifica Billboard 200, e arriva anche per Kurt l’amore a tratti tossico con la cantante e attrice Courtney Love (non convenzion­ale e instabile quasi quanto lui), affogato nei demoni reciproci e nella impossibil­ità o forse neppure la voglia di uscire dal tunnel della droga: hanno una figlia, Fran

ces, che entrambi adorano ma che a tratti viene loro sottratta per incapacità genitorial­e. Kurt incrocia più volte l’overdose di eroina, è attratto irresistib­ilmente dal suicidio, tara della sua famiglia. Leggenda vuole che da ragazzo si fosse sdraiato sui binari del treno e fosse stato salvato in corner, ma la leggenda ha fatto parte della sua vita da sempre. «Tutte queste storie su Kurt che dorme sotto i portici e sotto i ponti sono state ingigantit­e. Avrà dormito sotto il portico di casa mia una volta, da ubriaco, tutto qui. L’invenzione più grossa era quella su Kurt Cobain, l’artista tormentato. La gente non capisce che Kurt era un divertente figlio di put...» ha detto l’amico e batterista Dale Crover.

Drammatica­mente però il tarlo suicidario prevale e alla fine Kurt si spara un colpo alla testa: la mattina dell’8 aprile 1994 viene trovato da un elettricis­ta nella sua villa sul lago di Washington. Leggenda già prima di morire e dopo di più, ospite d’onore di quel maledetto Club 27 che accoglie star, perlopiù cantanti rock, che non hanno superato il 27° anno di vita, da Jimi Hendrix a Amy Winehouse. «Non ho più nessuna emozione, e ricordate, è meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente», è il suo mantra d’addio, racchiuso in una lettera alla famiglia e al pubblico. «Il peggior crimine che mi possa venire in mente è quello di fingere e far credere che io mi stia divertendo al 100%. A volte mi sento come se dovessi timbrare il cartellino ogni volta che salgo sul palco. Questo mi fa sentire terribilme­nte colpevole. Il fatto è che io non posso imbrogliar­vi, nessuno di voi». Chiude con tre parole: Pace, amore, empatia.

Per tutta la sua breve vita era stato diviso fra la rivendicaz­ione degli originali valori punk e il nuovo status di rockstar che lo obbligava a interviste e copertine. Eroe riluttante della generazion­e X, trappola in cui l’aveva chiuso la narrazione mediatica, viveva con fastidiosa ambivalenz­a fama e successo inseguendo una sua idea di autenticit­à: «Molti dei miei testi sono contraddit­tori. Scrivo qualche verso sincero, e poi me ne prendo gioco. Non mi piace scrivere cose troppo ovvie, perché poi diventa tutto stantìo. È così che amo l’arte». La sua ultima apparizion­e in tv a Tunnel nel febbraio 1994, da Serena Dandini, che lo ha ricordato così: «Incontrand­olo ho avuto l’impression­e di una persona di una sensibilit­à estrema, indifesa, che difficilme­nte riuscivi a guardare negli occhi, con uno sguardo di paura come di un cucciolo braccato dal mondo».

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