LEGGERE LOLITA A TEHERAN, A TEL AVIV, A ROMA
In queste settimane di missili, droni e minacce incrociate attraverso il Medio Oriente, sono arrivate da Teheran immagini di uomini con la barba e donne con il chador nero: tutti riuniti in piazza per chiedere, come sempre, la distruzione di Israele. In mano cartelli illustrati con il profilo dei nuovi razzi in dotazione alla Repubblica islamica e del vecchio turbante di Ali Khamenei, 84 anni, la Guida suprema succeduta nel 1989 all’ayatollah Khomeini, protagonista dieci anni prima della grande rivoluzione popolare contro lo scià.
Quello che foto e video sembrano trasmettere è l’odio infiammato di un Paese di 88 milioni di persone – erede di una cultura di millenni che ha attraversato la conquista araba nel settimo secolo d. C. senza spegnere la lingua persiana – per lo Stato ebraico, il grande Satana americano e l’intera costellazione degli alleati occidentali, corrotti destinati alla sconfitta e alla perdizione. Sul Corriere della Sera, abbiamo chiesto ad Azar Nafisi, autrice di Leggere Lolita a Teheran, iraniana ed esule negli Stati Uniti da metà degli anni Novanta, se è così: se è vero che l’Iran sogna più di ogni altra cosa la fine di Israele. E lei, nata nel 1948, figlia di uno storico sindaco della capitale finito nelle prigioni monarchiche negli anni Sessanta, ha risposto senza ombre a Greta Privitera: «Nessuno vuole una guerra contro Israele, non solo perché la maggioranza di noi non ha alcun problema con il popolo israeliano, come vuole far credere il regime, ma perché gli iraniani e le iraniane hanno già una guerra in corso. Quella contro il dittatore Khamenei».
C’è chi vorrebbe dubitare della sua lettura: in fondo, la professoressa ha abbandonato da tempo il Paese, dopo essersi dimessa dall’università di cui non sopportava veli e veti. Il nazionalismo persiano non vede in fondo a ogni percorso il miraggio persistente della conquista di Gerusalemme, senza divisioni generazionali e politiche, finalmente azzerate di fronte al nemico e allo scenario del definitivo dominio regionale? Eppure. Alle ultime elezioni, il 1° marzo scorso, nella capitale avrebbe votato soltanto il 13 per cento della popolazione, nel resto del Paese – secondo dati ufficiali subito contestati per eccesso – circa il 40 per cento. L’astensione era l’unico modo di esprimere dissenso e collera, avendo la censura svuotato le liste di ogni rappresentante dell’opposizione e avendo i giovani perduto ormai ogni speranza riformista. E dunque ha ragione Azar Nafisi: il volto dell’Iran contemporaneo restano le ragazze scese in piazza dopo la morte a bastonate di Mahsa Jina Amini, 22 anni, colpita il 14 settembre 2022 alla fermata del metrò per quell’hijab messo un po’ storto, per una ciocca di capelli scoperta e annotata come uno sberleffo blasfemo sui taccuini della “polizia morale”.
Ancora Nafisi: «Le democrazie occidentali dovrebbero promuovere le lotte dei ragazzi e delle ragazze d’Iran – così come quelle degli ucraini e degli afghani – non perché fanno compassione, ma perché in questo momento sono loro la front line delle democrazie nel mondo (…). Noi abitanti del pianeta Democrazia ci siamo adagiati nella sicurezza fragile dei nostri privilegi». La battaglia comune, comune a noi e ai giovani persiani (età media 32 anni, oltre mezzo secolo meno di Khamenei), è contro le dittature, contro i regimi integralisti che mai hanno e avranno a cuore la causa nazionale di un popolo. Ha commentato Mattia Feltri su La Stampa che Azar Nafisi dovrà forse scrivere Leggere Lolita Ovunque. A Tel Aviv, a Milano, a Roma, senza boicottaggi. Continuiamo allora a comporre il romanzo delle libertà individuali su cui si salda la costruzione politica di mondi possibili, sicuramente meno ingiusti e inefficaci di quanto non sappiano fare “gli uomini forti”, garanti di nulla se non per sé stessi. Torniamo nel soggiorno di Teheran a leggere Nabokov: dalla finestra senza tendine regolamentari non si vedono scie infuocate, ma le cime bianche dei monti Elburz.
LA SCRITTRICE AZAR NAFISI DICE CHE IL REGIME (NON GLI IRANIANI) VUOLE LA FINE DELLO STATO EBRAICO. APPELLO ALLE DEMOCRAZIE