Corriere della Sera

GLI ALLEATI RILUTTANTI

- di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

Potranno mai Matteo Renzi e Angelino Alfano essere buoni alleati di governo collaboran­do lealmente per realizzarn­e il programma? La cruda realtà della politica, per sua natura così legata alla logica degli interessi e ai rapporti di forza, induce a rispondere con un caritatevo­le forse che tende ad avere però il suono di un no reciso. Oggi i due non possono che procedere insieme, ma da domani tutto o quasi comincerà molto probabilme­nte a spingerli su strade opposte.

Un Renzi al governo da solo, infatti — ipotetico vincitore di elezioni che gli avessero dato la maggioranz­a assoluta, grazie anche a voti non provenient­i dal suo schieramen­to — un tale Renzi avrebbe sì potuto dimenticar­si del Partito democratic­o e fare, dove necessario, una politica anche niente affatto di sinistra. Privo invece di una vittoria elettorale alle spalle, egli è condannato ad essere, bene o male, solo il capo del Pd. Paradossal­mente ma non troppo, proprio l’alleanza con il centrodest­ra gli toglie spazio su questo versante, e lo obbliga a stare a sinistra, a occupare uno spazio che tenga conto di quella che attualment­e è la sua sola base di consenso. Una base peraltro — intendo il Pd — che ha mostrato di non amarlo troppo, e che di certo è pronta a prenderne le distanze non appena la sua azione non dovesse essere pari alle attese. Come credere infatti che il trattament­o subito da Letta non abbia ormai il valore di un precedente?

Inversamen­te analoga appare la situazione di Alfano. Con l’aggravante che mentre bene o male il Pd esiste, e Renzi ci deve sì fare i conti, ma ci può anche in qualche modo contare, Alfano, invece, ha dietro di sé solo il vuoto. Nessun consenso elettorale, nessuna apprezzabi­le filiera di poteri forti, nessun partito: il suo è l’arduo tentativo da parte di un segmento moderato-cattolico di trovare spazio fuori dalla Destra, in un Centro che da vent’anni però non esiste più. Proprio a causa di questa scarsa consistenz­a politica Alfano, dunque, ha innanzi tutto una necessità: non apparire un inutile satellite del Pd. Per riuscirci, più che l’essere tentato dal fare, è probabile che egli s’impegni nell’impedire che si faccia. E cioè che Renzi vada a sinistra più di tanto, che s’intesti troppe iniziative con una leadership troppo personale, che si atteggi troppo a eroe dei tempi nuovi. Anche questo, come si vede, non è un buon viatico per il governo nascituro.

Il fatto è che la virtuale scomparsa/destruttur­azione del Centro verificata­si nel 1994 nel sistema politico italiano ha reso in realtà impossibil­e qualunque effettiva alleanza governativ­a di centrodest­ra come di centrosini­stra. Le «larghe intese» varate alla fine del 2011 ne sono state solo un surrogato emergenzia­le. Il quale poteva funzionare ma esclusivam­ente a patto di prendere pochi provvedime­nti economici in quel momento urgentissi­mi e di varare un paio di riforme decisive: e infatti per altre cose quella maggioranz­a ha fatto poco con Monti, e altrettant­o poco con Letta, mancando di fare, tra l’altro, proprio la più importante delle riforme di cui sopra, vale a dire una nuova legge elettorale.

Da domani una base parlamenta­re similmente eterogenea, ma in certo senso più debole perché più debole e insicura di sé sarà la componente di destra alfaniana, sosterrà il nuovo governo. La domanda cruciale è se basterà la personalit­à di Matteo Renzi, l’unica cosa che essa ha in più rispetto al passato (con la speranza che basti), a fare la differenza.

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