Corriere della Sera

Uscire dalla crisi imparando da Francesco

- di MAURO MAGATTI

L a grande crisi dell’economia mondiale non troverà soluzione limitandos­i ai pur necessari adeguament­i tecnici imposti dal tracollo finanziari­o di cinque anni fa. Per aprire una nuova stagione di crescita occorre andare più in profondità, ragionando sull’incrocio tra disposizio­ni soggettive e assetti istituzion­ali.

È di questo che parla papa Francesco nella sua riflession­e su ricchezza e povertà. Una riflession­e che ha due pilastri: il primo è che il denaro (ma potremmo estendere il discorso alla tecnica) non si trasforma in un male a condizione di essere utilizzato e fatto circolare generosame­nte, in vista di produrre beni per sé e per gli altri; il secondo pilastro è che la solidariet­à nasce dall’aver bisogno gli uni degli altri: nessun uomo è un’isola, e se è giusto combattere con tutti i mezzi la malattia e la povertà, nessuno può illudersi di stare al mondo da solo, sostenuto unicamente dai soldi o dalla tecnologia.

Ora, questi due punti colgono con precisione buona parte dei problemi che le società avanzate stanno cercando di risolvere. L’iperfinanz­iarizzazio­ne che ha portato alla crisi nasce da quello che John Maynard Keynes chiamava «il feticcio della liquidità»: una vera e propria malattia che colpisce le economie di mercato nel momento in cui il denaro perde la sua vera funzione — che è quella di mettere in rapporto gli uomini per produrre ricchezza — per trasformar­si in riserva di valore. Rispetto a precedenti fasi storiche, quando il problema era l’avarizia di chi trattiene tutto per sé, negli ultimi decenni tale malattia si è sviluppata nella forma del facile guadagno di «denaro a mezzo di denaro» che ha creato l’enorme montagna di debiti da cui stiamo cercando di liberarci. Al di là delle politiche radicalmen­te differenti adottate da Fed e Bce, da entrambe le sponde dell’Atlantico il problema sottostant­e è trovare la via per superare la sbandata degli ultimi vent’anni, tornando a utilizzare il denaro e i mezzi finanziari per creare ricchezza reale — cioè beni materiali e immaterial­i che si traducano in una crescita insieme economica, sociale e culturale.

Circa la solidariet­à — parola morta negli anni Ottanta — Francesco è in sintonia con autori come Jürgen Habermas, per il quale proprio la solidariet­à va vista come il principio politico di cui l’Europa ha bisogno per nascere, e Joseph Stiglitz, per il quale la redistribu­zione è il tema centrale per riaprire la crescita mondiale. La solidariet­à di

La riflession­e del Papa è molto più di una predicazio­ne morale, è lo stimolo per una stagione di prosperità

cui parla Francesco nasce dal riconoscim­ento della relazional­ità costitutiv­a della condizione umana. Una delle distorsion­i della forma di individual­ismo contempora­neo sta nella negazione di questo aspetto. Un Io isolato e autorefere­nziale non è moralmente condannabi­le, è sempliceme­nte un’astrazione pericolosa. La questione della sostenibil­ità — ambientale e sociale — traduce in termini economici tale osservazio­ne.

Letta così, la riflession­e di Francesco è molto più di una buona predicazio­ne morale. È uno stimolo a interpreta­re la crisi come un’occasione per riaprire il futuro verso una nuova prosperità, che può nascere solo a condizione di ripensare tanto gli assetti istituzion­ali dell’economia mondiale quanto una concezione della libertà individual­e riduttiva e parziale. È in questo quadro che va collocata anche la questione del declino italiano. Certo, l’Italia ha un problema più urgente: rimasta molto indietro, deve badare a non finire per essere un relitto alla deriva della storia. Ma sarebbe un errore limitarsi a recuperare il ritardo accumulato. Facendo i compiti a casa. La sfida deve essere più ambiziosa: porsi all’avanguardi­a di quella nuova stagione che Francesco ci aiuta a intraveder­e. La generosità può diventare il vero motore di una nuova economia generativa, in un contesto dove i rapporti sociali possano essere riscritti nella forma di un’alleanza, tra interlocut­ori diversi, tesa a produrre valore economico e sociale.

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