Su Twitter: «Muoio» La crocerossina ferita simbolo della protesta
L’infermiera Olesya lotta per la vita
L’icona che mancava a piazza Maidan è un’infermiera volontaria di 21 anni, volto pallido e sguardo basso, la pettorina bianca con il simbolo della croce rossa, maschera da sci sulla fronte, la mano destra stretta al cellulare e la sinistra pigiata sul fiotto di sangue dal collo. Sono le 10.44, l’ultimo messaggio su Twitter: «Muoio».
Si cade sulla Maidan, nell’impasto di fango e neve, di protesta virtuale e terrore reale. Per scongiurare la morte, così tangibile e vicina, Olesya Zhukovskaya ha affidato la sua supplica al mondo impalpabile dei social, cronaca in diretta dell’indicibile, impossibile condivisione. Quel post su Twitter e VKontakte, il Facebook dell’Est, è stato rilanciato migliaia di volte in poche ore, accompagnato da centinaia di commenti e di «Mi piace», la Rete ha aperto il cerimoniale laico dell’addio mettendo in circolo foto che ritraevano la ragazza sorridente davanti alle barricate, zaino in spalla e berretto di lana sotto l’elmetto. Poi le voci del trasferimento in ospedale, le prime conferme dal campo, Olesya in sala operatoria, Olesya attaccata a un respiratore artificiale. In serata la conferma dall’account ufficiale dei dimostranti filoeuropei di EuroMaidan: «È in gravi condizioni, ma viva».
Era arrivata a Kiev da pochi giorni, lasciando su Internet le tracce dell’avventuroso viaggio verso la capitale in fiamme. «Finalmente!» scrive quando le si spalanca davanti la piazza degli scontri. «La serata sarà terribile», dice annunciando l’arrivo di presunte forze russe accreditato da «fonti affidabili». L’eccitazione dei vent’anni, la voglia di dare una mano, il senso di far parte di qualcosa di più grande.
Mercoledì notte il presidente Viktor Yanukovich annuncia la tregua e il rilancio dei colloqui con l’opposizione. All’alba ricominciano gli scontri, il centro della città è sotto assedio, il Paese sembra lanciato verso la guerra civile. «Urgente a tutta Kiev! — scrive Olesya — Abbiamo bisogno del vostro sostegno! Stamattina è partito il massacro e non si fermerà prima di sera!». I manifestanti riprendono con i cellulari i cecchini appostati sui tetti. Si spara ad altezza d’uomo attorno alle cupole d’oro di San Michele. Proiettili di gomma, proiettili veri. Olesya cerca rifugio in una chiesa.
Sale la conta dei morti e dei feriti, nelle strade si dispongono i cadaveri gli uni accanto agli altri, i ragazzi gridano: «È il prezzo della libertà». Un colpo al collo, Olesya scrive ancora. Qualcuno l’afferra, la stringe, la fotografa. Il suo nome vola sulla Rete, in caratteri cirillici e latini; il profilo Twitter resta muto, con il primo piano in bianco e nero che risalta sulle immagini della protesta rosso fuoco. Nelle corsie degli ospedali improvvisati tra alberghi e conventi si parla della piccola infermiera colpita dal nemico. Oleg Musiy, coordinatore dei soccorsi medici per i dimostranti, conferma che la ragazza è stata operata.
Il popolo senza leader trova un volto, la crocerossina di Maidan che lotta per la vita.