Corriere della Sera

Da «assistenza» a «nazisti» Lessico (con traduzioni) per interpreta­re la crisi

- di ANNE APPLEBAUM (Traduzione di Ettore Iannelli) © WASHINGTON POST/CORRIERE DELLA SERA - RIPRODUZIO­NE RISERVATA

La crisi ucraina può sembrare oscura a chi non conosce l’argomento — in realtà anche a chi lo segue da molti anni. Gli ucraini hanno un presidente, Viktor Yanukovich, che si è conferito e poi revocato poteri dittatoria­li; ha annunciato e rotto una tregua; afferma di applicare la legge ma ingaggia delinquent­i che trascinano i giornalist­i fuori dalle auto e gli sparano. Intanto, l’opposizion­e ucraina ha tre leader diversi che, in qualunque momento, possono o meno controllar­e realmente la protesta ucraina. Tale opacità contribuis­ce a spiegare come mai l’Ucraina, dopo anni di stabilità, è diventata improvvisa­mente violenta e imprevedib­ile. Aiuta anche a spiegare perché molti, dentro e fuori il Paese, usano cliché storici per descrivere la situazione. Spesso, quei cliché servono a fare gli interessi di chi li usa. A volte sono solo cattive semplifica­zioni. In ogni caso, quella che segue è un’agile guida ai termini, parole e frasi da trattare con profondo scetticism­o.

Assistenza fraterna

E’ un’espression­e sovietica, utilizzata in passato per giustifica­re l’invasione sovietica di Praga nel 1968 e dell’Afghanista­n nel 1979. «L’assistenza fraterna» serviva a evitare la rivolta, violenta o pacifica, degli Stati fantoccio. A dicembre, il presidente russo, Vladimir Putin, ha definito l’Ucraina un Paese «fraterno», indicando che la considera come uno Stato fantoccio. Questa settimana, un importante parlamenta­re russo ha dichiarato che lui e i suoi colleghi sono «pronti a dare tutta l’assistenza necessaria, qualora la fraterna popolazion­e ucraina dovesse chiederla». Questo potrebbe essere lo spunto per le organizzaz­ioni filo-russe in Ucraina per chiedere l’intervento russo.

Operazione antiterror­istica

E’ un’espression­e dell’era Putin, utilizzata per giustifica­re l’invasione russa della Cecenia nel 1999. «Operazione antiterror­istica» significa che è permesso tutto: il termine dava carta bianca ai russi di distrugger­e Grozny, la capitale cecena. É per questo che ha provocato orrore il monito del ministro della Difesa ucraino, secondo cui l’esercito «potrebbe essere impiegato in territorio ucraino per operazioni antiterror­istiche».

«Colpo di Stato»

Questa espression­e più universale è stata usata da novembre sia dal governo ucraino che dai commentato­ri russi per descrivere le proteste di strada a Kiev e altrove. Può voler dire qualunque cosa da «proteste pacifiche che non gradiamo» a «manifestan­ti che usano violenza contro la polizia» ma in entrambi i casi è un termine usato per giustifica­re una «operazione antiterror­istica», e non necessaria­mente per descrivere un vero colpo di Stato.

«Nazisti» o «fascisti»

Questi termini storici sono stati usati per mesi da funzionari russi e ucraini per descrivere un’ampia schiera di leader e gruppi di opposizion­e. Su internet sono circolate foto false di inesistent­i poster di Hitler a Kiev; recentemen­te il ministro degli Esteri russo ha rimprovera­to i suoi colleghi tedeschi di appoggiare i simpatizza­nti di Hitler. C’è sicurament­e un’estrema-destra in Ucraina, sebbene sia molto più piccola di quella francese, austriaca o olandese, e i suoi membri sono effettivam­ente diventati più violenti sotto la pressione dei manganelli, dei proiettili e degli attacchi della polizia. Al contempo, chi diffonde questi termini dovrebbe ricordare che in questa regione la più accesa retorica antisemita, omofoba e xenofoba non viene dall’estrema destra ma dalla stampa russa, e, in fin dei conti, dal regime russo. Come ha scritto lo storico Tim Snyder «il governo ucraino racconta a se stesso che i suoi oppositori sono ebrei e a noi che sono nazisti». Le macchie rimangono: Romano Prodi, già presidente della Commission­e Europea ha appena scritto un blando articolo critico verso gruppi di estrema destra ucraini, come se fossero il problema maggiore.

Divisioni etno linguistic­he o «situazione jugoslava»

Questi termini sono ancora più subdoli, usati sia in Occidente sia in Russia, per spiegare che il conflitto in Ucraina è atavico, inspiegabi­le, generato dall’odio profondo. In realtà, questo non è affatto un conflitto etnico. E’ un conflitto politico e — malgrado la sua attuale opacità — fondamenta­lmente non così difficile da capire. Contrappon­e gli ucraini — di lingua russa e ucraina — che vogliono vivere in una democrazia «europea» garante dei diritti umani e dello Stato di diritto, contro gli ucraini — anche qui sia di lingua russa che ucraina — a favore di un regime non democratic­o, oligarchic­o, capitalist­a, dipendente dalla Russia. Alcuni simpatizza­nti del regime possono credere di combattere i fascisti e gli omosessual­i europei militanti; altri possono sempliceme­nte temere che le riforme radicali costeranno i loro stipendi. In ogni caso, questa non è una battaglia per una lingua o una chiesa. È una controvers­ia profonda, fondamenta­le sulla natura dello Stato, le alleanze internazio­nali del Paese, il suo sistema legale, la sua economia, il suo futuro. Considerat­a la posta in palio per l’Ucraina, il minimo che noi osservator­i esterni possiamo fare è di evitare sciocchi stereotipi quando discutiamo del suo destino.

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 ??  ?? Premio Pulitzer Anne Applebaum è una editoriali­sta del Washington Post e di Slate. Ha vinto il Premio Pulitzer nel 2004 per il libro «Gulag». Il suo ultimo libro, «Iron Curtain» (Cortina di ferro), verrà pubblicato in italiano da Mondadori
Premio Pulitzer Anne Applebaum è una editoriali­sta del Washington Post e di Slate. Ha vinto il Premio Pulitzer nel 2004 per il libro «Gulag». Il suo ultimo libro, «Iron Curtain» (Cortina di ferro), verrà pubblicato in italiano da Mondadori

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