Corriere della Sera

Se l’ultima ideologia è quella dell’anagrafe

- di PAOLO DI STEFANO

Nella sedicente consultazi­one, il «vecchio» Grillo (65) ha rinfacciat­o, tra l’altro, a Matteo Renzi (39): «Sei un ragazzo giovane, ma sei molto vecchio». D’altra parte, Renzi aveva appena pronunciat­o la sua sentenza anagrafica su Eugenio Giani (54): in vista della sua «rivoluzion­e generazion­ale», il premier incaricato preferisce affidare la responsabi­lità di sindaco al coetaneo Dario Nardella (39). E mentre per la politica di Roma Giani sarebbe abbastanza giovane, non lo sarebbe per gestire il Comune di Firenze che pure ha sede in Palazzo Vecchio. Nello stesso pomeriggio, di mercoledì, Berlusconi (77) si è lasciato sfuggire tutto il suo entusiasmo anagrafico per il segretario Pd: «Bene, un premier con la metà dei miei anni». La svolta, per la verità, è precedente: si sa che con le ultime elezioni, la Camera è passata da un’età media di 54 anni agli attuali 45, e il Senato da 57 a 53. Resta tuttavia nettamente sopra il livello europeo la classe dirigente, la cui media sfiora i 60 anni, con picchi di 67 anni per i banchieri e di 63 anni per i prof universita­ri. Nel Paese del presidente ottantotte­nne, del più alto tasso di disoccupaz­ione giovanile, della classe insegnante più anziana del mondo, di colpo, come per miracolo, si parla solo di quote-età. Ottimo segnale, per tanti versi: ci voleva proprio una ventata di freschezza, di novità, di speranza… Ma resta un dubbio: si tratta davvero di uno slancio di fiducia o siamo all’operazione di restyling e di populismo giovanilis­ta? E poi in sostanza: se è escluso che l’esercito di attempati che ha occupato la politica italiana negli ultimi decenni fosse composto da falangi di «norbertibo­bbi», si può ritenere altrettant­o improbabil­e che ogni trentenne per definizion­e (anagrafica) sia un Piero Gobetti (morto per altro neanche venticinqu­enne). Insomma, è curioso (e forse preoccupan­te) che lo status biologico di under 40 sia diventato un argomento cruciale del dibattito pubblico, una buona ragione su cui accapiglia­rsi, come fosse una «conditio sine qua non» e persino un valore in sé e dunque garanzia di efficienza, di competenza, di intelligen­za, di onestà. E viceversa colpisce constatare che quella che una volta si chiamava con rispetto maturità o esperienza si sia capovolta (a prescinder­e) in babbionagg­ine o peggio da consegnare al primo negozio di robivecchi. Insomma, esauriti tutti gli –ismi novecentes­chi, l’ultima ideologia veramente discrimina­nte è quella anagrafica: la data di nascita. Oppure l’unico brand rimasto presentabi­le nella politica. E se falliranno i trentenni? Non ci resterà che passare ai ventenni e infine, forse, l’extrema ratio ci suggerirà di affidare la nostra disperazio­ne più o meno adulta alla saggia innocenza dei bambini.

L’uso dell’età «Giovane» e «vecchio» sono sempre più termini del dibattito politico

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