Corriere della Sera

Poche sanzioni e qualche trucco Tutti i dubbi di una (quasi) svolta

- SEGUE DALLA PRIMA Gian Antonio Stella

Che la macchina dei soldi ai partiti, dopo l’abolizione decisa (inutilment­e) dagli italiani nel referendum del 1993, avesse via via accelerato prendendo una velocità assurda è fuori discussion­e. Col trucco dei rimborsi delle spese elettorali le somme erano diventate sproposita­te. Stando a Roberto Perotti, della Bocconi, l’impennata finale fu nel 2008 (322 milioni), nel 2009 (268 milioni) ma soprattutt­o nel 2010 quando, a dispetto della crisi che già stava gettando nel panico milioni di italiani, le forze politiche si spartirono di soli rimborsi 369 milioni di euro.

A quel punto i partiti, mentre montava l’insofferen­za dei cittadini che si sarebbe poi sfogata nel voto a Beppe Grillo, non avevano scelta. Piacesse o no, dovevano tagliare. Il processo di adeguament­o alle decisioni di quel lontano referendum, dopo l’accelerazi­one di Mario Monti che aveva portato da 182 a 91 i milioni di euro distribuit­i, si è (quasi) concluso ieri. Con un taglio del 25% il primo anno, del 50% il secondo e del 75% il terzo, si dovrebbe passare a un’altra forma di finanziame­nto. Quello volontario del « 2 per mille » che i cittadini dovrebbero detrarre dalle tasse destinando­lo a questo o quel partito. Il «quasi», però, è obbligator­io.

Certo, quella di ieri è una svolta attesa da anni. Evviva. Ma se anche fossero forzate le accuse di «legge truffa» lanciate non solo dai grillini ma anche dal professor Perotti, secondo il quale alla fine del percorso i soldi sottratti alle casse pubbliche saranno più o meno due terzi di oggi, è fuori discussion­e che alcuni dettagli sono così contorti e pasticciat­i da lasciare dubbi. Ad esempio era una vergogna che chi regalava soldi ai partiti avesse detrazioni fiscali fino a 51 volte più alte di chi donava gli stessi soldi a una associazio­ne non profit e (dopo mille denunce, per anni), quella norma è stata cambiata, ma come ricorda redattore

sociale.it i donatori non sono stati messi ancora sullo stesso piano e dare denari al Pd, Sel o a Forza Italia resta 14 volte più convenient­e che darli alla ricerca sul cancro: perché?

La trasparenz­a sulle donazioni (c’è chi si è spinto a teorizzare che «magari a un imprendito­re non fa piacere sapere che ha dato i soldi a un partito») ha fatto dei passi avanti ma, come denuncia il M5S, è ancora lontana dai livelli anglosasso­ni dove il deputato Alan Campbell fu obbligato a denunciare anche gli 88,61 euro ricevuti da una società di ricerca Populus per aver risposto a un sondaggio. Non ci può essere una dose omeopatica di trasparenz­a: o c’è o non c’è.

Terzo punto da chiarire: accusa Roberta Lombardi che già dal prossimo agosto i partiti riceverann­o degli anticipi su quelle donazioni presunte del «2 per mille». Se poi questi anticipi dovessero essere superiori alle donazioni effettive, cosa accadrà? È già successo, quando fu tentato l’esperiment­o del «4 per mille». La conclusion­e fu: cosa fatta capo ha.

Quarto punto: dopo avere tentato l’abolizione delle sanzioni per quanti non rispettera­nno

Il non profit penalizzat­o Versare denaro alla politica è più convenient­e che farlo per la ricerca o il non profit. E i dipendenti hanno tutele superiori agli altri lavoratori

le nuove regole, la maggioranz­a che ieri ha varato l’abolizione del vecchio finanziame­nto pubblico, ha deciso che chi farà il furbo sarà escluso dall’elenco dei possibili beneficiar­i di quel «2 per mille». Non dovrà, però, restituire ciò che impropriam­ente aveva incassato. Abbiamo capito male?

Per non dire di altre perplessit­à, come quelle sul «5 per mille» alle fondazioni o il trattament­o «speciale» per i dipendenti dei partiti: massima comprensio­ne per chi vede a rischio il proprio posto di lavoro, ma perché dovrebbero essere trattati in maniera diversa dagli altri cittadini italiani?

Insomma, condivider­e i trionfalis­mi di chi saluta la riforma (per quanto prenda atto che certe esagerazio­ni sono finite) come una svolta epocale, è un po’ troppo. Tanto più che, sotto sotto, restano i dubbi di Riccardo Puglisi che su lavoce.info ha scritto che meglio sarebbe stato un drastico ridimensio­namento dei fondi pubblici (previsti in mezzo mondo e indecenti solo quando sono esorbitant­i) piuttosto che «una transizion­e così lenta al regime finale di finanziame­nto, che non è ottimale perché lascia maggiore spazio a furbi ripensamen­ti a livello parlamenta­re». A farla corta, è bene che i cittadini restino con gli occhi aperti...

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