Corriere della Sera

LE BANCHE NELLA CRISI LA REGIA DELLA BANCA D’ITALIA

- Risponde Sergio Romano

Il Governator­e di Bankitalia Visco ipotizza, nel rispetto delle regole europee, il ricorso alla «bad bank» per raccoglier­e i crediti deteriorat­i degli istituti di credito italiani. È comodo e veloce togliere i crediti a rischio dal bilancio, metterli in un cassetto e migliorare i coefficien­ti patrimonia­li. Il dubbio, è se poi, su quei crediti, sapienteme­nte accantonat­i, gli strateghi del risparmio non inventino qualche bel prodotto finanziari­o da rifilarci...

Andrea Sillioni

a.sillioni@yahoo.it La Banca d’Italia ha rivalutato le quote e la cosa sarebbe utile se fosse finita lì. Solo che oltre a rivalutare si è impegnata a riacquista­re le azioni di tutte le banche (solo da Unicredit il 27%). Quindi dovremo sborsare fior di miliardi. Le banche pagano un miliardo di tasse e ne incassano dieci e si trovano rivalutato il capitale sociale senza chiedere un euro. Non vi sono passaggi di denaro e quindi la liquidità delle banche resta immutata, e con essa la possibilit­à di prestiti.

Lionello Leoni

lionello.leoni@alice.it

Cari lettori,

Ivostri quesiti sono diversi, ma hanno due caratteris­tiche comuni: concernono entrambi la Banca d’Italia e trasudano diffidenza per la maggiore istituzion­e finanziari­a nazionale. Siete autorizzat­i a «pensare male», beninteso, ma qualche informazio­ne in più potrebbe servire a chiarire i termini della questione.

La «banca cattiva» è quella che viene creata per ospitare i prodotti “tossici” e i prestiti non più esigibili che appesantis­cono il portafogli­o di altri istituti di credito. Recentemen­te la formula è stata utilizzata da due Paesi, Irlanda e Spagna, che erano sull’orlo del precipizio, e ha dato, a quanto sembra, buoni risultati. In Spagna la banca cattiva è stata creata con capitali provenient­i dallo Stato (il Fondo pubblico spagnolo per la ristruttur­azione bancaria) e da altre banche interessat­e al risanament­o dei conti pubblici del Paese. Con questo capitale la nuova banca ha comperato i prodotti tossici a prezzi di mercato (vale a dire fortemente scontati) e li ha trattati nel modo in cui i pompieri frugano tra le macerie di un casa bruciata per recuperare ciò che è ancora utilizzabi­le. In ultima analisi la banca cattiva serve a smaltire il debito distribuen­do l’onere su un largo numero di soggetti, tutti egualmente interessat­i al buon esito della operazione. Nel frattempo le altre banche, alleggerit­e del fardello delle sofferenze, hanno ricomincia­to a prestare denaro nell’interesse dell’economia nazionale.

Quando ha rivalutato il suo capitale, la Banca d’Italia ha deciso che il numero delle azioni possedute dai singoli azionisti non possa superare il 3% e che ciascuno di essi debba conformars­i all’obbligo entro tre anni. Se alla scadenza l’operazione non sarà stata completata, Palazzo Koch potrà acquistare temporanea­mente una parte delle quote per rimetterle sul mercato. Credo a questa promessa perché la Banca centrale ha nella operazione un duplice interesse. In primo luogo vuole sbarazzars­i di una legge che pesava sulla sua testa come una spada di Damocle: quella voluta da Giulio Tremonti, allora ministro dell’Economia, che prevedeva l’attribuzio­ne del suo capitale allo Stato. In secondo luogo perché preferisce essere una public company, va a dire una società con un azionariat­o molto diffuso. A Palazzo Koch pensano, con ragione, che i manager sono tanto più forti quanto più i loro padroni sono numerosi.

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