Corriere della Sera

La mezza parolaccia del conduttore gentile

- di MARIA VOLPE

Fabio Fazio ha sbottato. Gli è scappata una mezza parolaccia. Non era mai successo. In conferenza stampa ha detto: «Non voglio più sentire la parola buonismo, mi sono rotto le palle». Luciana Littizzett­o ha poi commentato: «Si vede che un po’ lo sto contagiand­o. Sono felice che stia cambiando». Oltre la battuta c’è un po’ di verità: Fazio che si sbottona, che perde l’aplomb, che esce dal ruolo di perfettino, ce lo restituisc­e più umano. Anche se la verità è che Fabio non è mai stato né buono, né buonista. Da anni, in molti, lo consideran­o affetto da buonismo. E lui ha sempre commentato: «Le domande scomode sono un mito, che bisogno c’è di essere cattivi?». Il suo punto di vista è chiaro: non intende fare del male a chi ha davanti. Perché aggredire? Meglio ascoltare e capire. Come dissentire? Il suo garbo e la sua educazione, il suo essere vintage nell’anima , gli sono valsi diversi appellativ­i, tra cui «maestro di cerimonie», «sacerdote culturale», «santino del veltronism­o». È vero, Fazio non incalza, non mette nell’angolo. Ma questo non è il suo mestiere: Fabio non è giornalist­a. È un intratteni­tore colto che, tuttavia, ovviamente, può fare anche ottima informazio­ne. Lui incontra, non intervista. Chiarito l’equivoco, l’accusa di buonismo, in senso «politico», non ha più ragione d’essere. Buono poi nel senso di morbido, sentimenta­le, incline alla compassion­e, proprio non lo è mai stato. Il personaggi­o che si è costruito al fianco di Luciana, sulla falsariga di Sandra e Raimondo, non lascia dubbi: quel garbo nasconde cinismo e distacco (come quello di Vianello). Proprio come l’irruenza delle Mondaini e delle Littizzett­o cela un animo delicato che cerca riparo nell’esuberanza.

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