La mezza parolaccia del conduttore gentile
Fabio Fazio ha sbottato. Gli è scappata una mezza parolaccia. Non era mai successo. In conferenza stampa ha detto: «Non voglio più sentire la parola buonismo, mi sono rotto le palle». Luciana Littizzetto ha poi commentato: «Si vede che un po’ lo sto contagiando. Sono felice che stia cambiando». Oltre la battuta c’è un po’ di verità: Fazio che si sbottona, che perde l’aplomb, che esce dal ruolo di perfettino, ce lo restituisce più umano. Anche se la verità è che Fabio non è mai stato né buono, né buonista. Da anni, in molti, lo considerano affetto da buonismo. E lui ha sempre commentato: «Le domande scomode sono un mito, che bisogno c’è di essere cattivi?». Il suo punto di vista è chiaro: non intende fare del male a chi ha davanti. Perché aggredire? Meglio ascoltare e capire. Come dissentire? Il suo garbo e la sua educazione, il suo essere vintage nell’anima , gli sono valsi diversi appellativi, tra cui «maestro di cerimonie», «sacerdote culturale», «santino del veltronismo». È vero, Fazio non incalza, non mette nell’angolo. Ma questo non è il suo mestiere: Fabio non è giornalista. È un intrattenitore colto che, tuttavia, ovviamente, può fare anche ottima informazione. Lui incontra, non intervista. Chiarito l’equivoco, l’accusa di buonismo, in senso «politico», non ha più ragione d’essere. Buono poi nel senso di morbido, sentimentale, incline alla compassione, proprio non lo è mai stato. Il personaggio che si è costruito al fianco di Luciana, sulla falsariga di Sandra e Raimondo, non lascia dubbi: quel garbo nasconde cinismo e distacco (come quello di Vianello). Proprio come l’irruenza delle Mondaini e delle Littizzetto cela un animo delicato che cerca riparo nell’esuberanza.