Giocare a carte scoperte per il Sud
POLITICA DI COESIONE
C aro direttore, fra tutti i dati che hanno raccontato l’andamento della crisi, uno è particolarmente significativo. Dal 2007 gli investimenti fissi lordi sono diminuiti nel complesso di oltre 80 miliardi di euro, di cui circa 28 al Sud. Un tracollo, frutto di una stretta diffusa in Europa, ma particolarmente accentuata in Italia: alle difficoltà dell’economia reale si sono sommate le difficoltà di finanza pubblica, in un corto circuito che ha espresso nel Mezzogiorno la sua massima virulenza, stante il peso maggiore dell’attore pubblico nell’economia. Di questa tendenza di lungo periodo alla riduzione degli investimenti, molteplici sono le conseguenze: per esempio, il collasso dell’assetto idrogeologico; i servizi pubblici che non migliorano; il riposizionamento dell’apparato produttivo che procede a strappi; l’occupazione e il credito che non riprendono.
La necessità di impostare una politica volta al rilancio degli investimenti, pubblici e privati, appare dunque di tutta urgenza: in questa direzione, un ruolo fondamentale può essere svolto dalla politica di Coesione. Qui sono le risorse per favorire le assunzioni dei giovani, qui la dotazione del credito d’imposta per la ricerca; con queste risorse si possono finanziare strumenti di garanzia per riattivare i circuiti creditizi, o gli interventi per il miglioramento delle competenze degli studenti. Qui il dissesto idrogeologico e l’adeguamento antisismico degli edifici possono trovare risorse decisive.
È una politica che, in questi anni, ha sofferto di forti contraddizioni, mischiando iniziative meritorie con altre più improbabili, ma i cui effetti economici, al netto della crisi, sono stati condizionati da un elemento fondamentale: pochi attori giocano a carte scoperte. Non le amministrazioni, centrali e regionali, che hanno accumulato una spesa da certificare nel biennio 2014-15 sui fondi strutturali per oltre 22 miliardi di euro, di cui circa 2/3 al Sud. Non il governo uscente il quale, pur sollecitato dal ministero alla Coesione sulla necessità di sostenere il ciclo di spesa delle Regioni escludendo dal patto di Stabilità interno il cofinanziamento nazionale dei fondi strutturali, inserisce questa misura fondamentale, a futura memoria, solo nel documento programmatico «Impegno Italia». Non il Parlamento, che per il 2014-20 ha votato disciplinatamente nella legge di Stabilità un rifinanziamento ingentissimo pari ad oltre 54 miliardi di euro, del braccio nazionale della politica di coesione, il Fondo sviluppo e coesione, disinteressandosi in egual misura della insussistenza degli interventi già deliberati per il 2007-13 e delle effettive disponibilità delle nuove allocazioni. Non l’Europa, che ai proclami sul rilancio degli investimenti non fa seguire alcuna conseguente decisione volta ad escludere tale spesa dal calcolo del patto di Stabilità e crescita.
Sulla carta, sono virtualmente disponibili risorse ingenti, senza contare quelle accantonate dal Piano di azione e coesione del ministro Barca: su come e quando potranno essere inserite nel circuito economico l’incertezza è diffusa. Analoghe perplessità possono essere evidenziate anche per la nuova programmazione 2014-20, il cui ciclo lungi dall’avviarsi dal primo gennaio 2014, stenta a partire nel concreto, stretto da una sintonia difficile da trovare tra governo e Regioni e dai primi, già colpevoli, ritardi nella definizione dei programmi.
La verità, vi prego, sulla politica di Coesione, verrebbe di dire. Se è vero che il 97% delle risorse per lo sviluppo regionale 2007-13 può vantare impegni giuridicamente vincolanti (cioè esiste una impresa o una amministrazione incaricata di eseguire un intervento), la domanda non deve essere «cosa si fa con queste risorse», quanto «perché ciò che avevamo deciso di realizzare è così in ritardo». E se il ritardo crea un rischio di restituzione di risorse, bisogna trovare alternative efficaci: prima fra tutte, uno strumento di natura automatica, volto al sostegno diffuso degli investimenti delle imprese.
Non rileva stabilire preventivamente quanto Mezzogiorno e politiche di Coesione siano al centro dell’attenzione del presidente incaricato; né se ci sarà un ministero della Coesione e se e quando partirà l’Agenzia per la Coesione; né è dirimente il numero di ministri anagraficamente ascrivibili al Sud. Rileva, e molto, la chiarezza e la trasparenza sulla effettiva disponibilità delle risorse e sulle condizioni per utilizzarle, e l’impegno a farne un tema centrale del prossimo semestre italiano di presidenza Ue. Giochiamo a carte scoperte, per favore, e ognuno si assuma, una volta per tutte, le sue responsabilità.
Vicepresidente di Confindustria per il Sud