Paolini, l’ «impegnato» «Ma non chiamatemi coscienza degli italiani»
«Basta con questa storia che io sono la coscienza civile del Paese»
travisato attraverso il suo modello di riferimento, Giuseppe Verdi: «Sono affezionato all’idea della tragedia dell’arte. Come Verdi, che ha creato un repertorio di sfigati, gobbi, puttane, lenoni protagonisti di storie sbagliate, in cui qualsiasi italiano poteva ritrovare qualcuno più sfigato di lui; un repertorio che con l’Unità d’Italia ci teneva assieme. Anche se noi siamo una patria di fratricidi, come ricorda Saba che sui Fratelli d’Italia ci dice occhio, ci ammazziamo tra noi! Ecco, nel mio piccolo, con Vajont sono andato in quella direzione di Verdi: con la commedia dell’arte, passi la nuttata, con la tragedia impari una lezione. A me interessano le storie di errori umani, fatti anche in buona fede, che poi diventano paradigmatiche. Certo Verdi faceva anche ridere, ma oggi c’è la dittatura del comico. Senza che ci sia auto-ironia. L’overdose comica rende sordi».
Twitter no, ma l’epitaffio sì
Nella società dell’iper-connessione per Paolini manca l’ascolto, che è tipico del comico: insegna a incassare il colpo, come in Stanlio e Ollio. «Prendi la torta in faccia, elabori e poi la tiri a tua volta; si va avanti così. Ma devi essere disposto a farti colpire, essere vulnerabile. Ed è molto seduttivo, bello: io godo delle conversazioni vere con i miei amici, odio quei rivoli di conversazioni online o in certi incontri pubblici». Non ama i cinguettii digitali: «Sui social network ci sono tante battute, ma pochi pensieri, brandelli di discorsi...».
Il caso Mio padre era ferroviere, mia madre casalinga, ho studiato agraria, quello con il teatro è stato un incontro casuale
Il comico Incassi la torta in faccia, elabori, la tiri a tua volta; si va avanti così. Ma devi essere disposto a farti colpire, a essere vulnerabile
E recita una frase che comunque starebbe comoda in 140 caratteri: «Sulla mia tomba voglio scritto: “Prima de parlar, tasi”». Oggi manca la «disponibilità a farsi colpire da quello che dicono gli altri. A livello politico e mediatico, sembrano super-eroi, intoccabili: si parlano addosso o contro». Grillo e Renzi? «Parliamo di tv, andiamo indietro. Il modello è Vittorio Sgarbi: negli anni 90 aveva la missione kamikaze di screditare Mani Pulite per bilanciare l’appoggio dell’opinione pubblica. Preferisco la tv di Giuliano Ferrara: puoi non condividere, ma c’è sostanza».
Checco Zalone e gli animalisti
A Paolini piacciono i film di Checco Zalone. Il cameo per Sole a catinelle è stato una «terapia» auto-ironica: «É stato divertente fare lo stronzo industrialotto. Ma qualcuno ha confuso il personaggio con l’attore. Altre volte si confonde narrazione e visione». Fino al paradosso: «Quale spettacolo mi ha creato più problemi? Non quello su Ustica o l’Ilva, ma Ballata di uomini e cani. Ho ricevuto lettere minatorie di animalisti che mi accusavano di voler maltrattare gli animali. Ma il testo era di London, Bastardo: un uomo e un cane si avviluppano in un odio shakesperiano dove uno cerca di ammazzare l’altro. E London — qui a Paolini si accendono gli occhi azzurri da husky — è un maestro nel raccontare la storia dal punto di vista del cane, dare voce al suo sguardo».