Il presidente finlandese: «Aspettiamo dal 2007 che Roma faccia le riforme»
Non possiamo far nuovo deficit, senza produrre crescita Non sono favorevole ad una politica economica comune nell’Unione
«Abbiamo bisogno di più crescita ma anche di più austerità. Se guardiamo indietro al 2007, poco prima della crisi finanziaria, quando l’eurozona era in crescita sin dall’inizio del millennio, ma la maggior parte dei Paesi cresceva facendo debiti, era una situazione dopata, creata dalle speculazioni finanziarie, non dall’economia reale. Da allora, una volta entrati nel cono d’ombra della crisi, abbiamo sempre immaginato di tornare a quei livelli. Ma non era una situazione normale e quel ritmo di crescita non è raggiungibile in modo automatico: voglio dire che oggi non è semplicemente possibile dare stimoli all’economia, senza prima fare gli aggiustamenti strutturali necessari».
Il presidente della Finlandia, Sauli Vainamo Niinistö, era ieri a Roma, per una visita di lavoro, durante la quale ha incontrato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e quello del Senato, Pietro Grasso. Esponente dei popolari di Coalizione nazionale, dal 1996 al 2003 è stato anche ministro delle Finanze.
Proprio pensando a quella esperienza, Niinistö dice di dover ammettere «un errore»
fatto all’epoca: «Nel 2002 fui molto critico verso il governo tedesco di Gerhard Schröder, che aveva violato il patto di Stabilità. Lo fece. Ma servì per importanti riforme di struttura di cui la Germania ha beneficiato molto».
E perché, signor Presidente, non viene oggi permesso all’Italia di fare altrettanto, a patto di varare le riforme necessarie?
«Dal 2007 aspettiamo che l’Italia faccia le riforme».
Ma è solo da pochi anni che abbiamo governi decisi a riformare il Paese. Non bisognerebbe dare più tempo per aggiustarsi con i criteri di Maastricht ai Paesi che riformano il mercato del lavoro, le pensioni e quant’altro?
«Sono un po’ scettico, ma non solo con l’Italia. Lo sono anche con il mio Paese, la Finlandia. Anche noi siamo in rosso e nel mirino della Commissione europea. In sette anni non abbiamo messo in pratica le correzioni necessarie. E ho la sensazione che l’Italia abbia lo stesso problema, cioè quello di implementare le misure di riforma. Non possiamo far nuovo deficit, senza che le strutture siano forti abbastanza da produrre crescita.
Il consolidamento bisogna farlo ora, subito. Ripeto, non solo l’Italia, che io non vedo come caso a parte o speciale: è un problema di mentalità diffusa in molti Paesi dell’eurozona».
Assistiamo oggi in Europa a un grande conflitto distributivo tra Nord e Sud, ricchi e poveri. Non pensa che ciò che manca oggi sia proprio un po’ più di solidarietà?
«Io credo invece che abbiamo già mostrato molta solidarietà e responsabilità comune. Se non ci fosse stato il patto di Stabilità, forse l’euro non sarebbe neppure nato. A tal proposito voglio ricordare il ruolo positivo esercitato dalla Banca centrale europea. Draghi ha saputo calmare i mercati con grande bravura e accortezza. Dal punto di vista della responsabilità comune e dell’integrazione siamo oggi più avanti degli Stati Uniti. Se poi lei intende una vera e propria politica economica e finanziaria comune, io non sono favorevole a questo sviluppo».
Eppure era considerato un corollario, sia pure da realizzare più avanti, della creazione dell’euro.
«Fu lasciato aperto, non fu definito. Ma potrei anche parlare di altre cose lasciate aperte, come lo sviluppo di politica comune di difesa e sicurezza. Ho l’impressione che abbiamo dato per scontate molte cose, come se il successo dei primi anni dell’euro potesse giustificare tutto».
Ma non è il mondo globalizzato a imporci la necessità di una maggiore integrazione economica e politica, per contare nei nuovi equilibri strategici?
«Abbiamo tutta la cooperazione di cui abbiamo bisogno. Per me è più una questione di individui e società che di istituzioni».