Corriere della Sera

Nel regno di rane, lumache e pesciolini

Viaggio nelle Langhe, attraverso la storia di uno chef che voleva le stelle. E che adesso ne ha due

- Roberto Perrone

Parlare con Gian Piero Vivalda riscalda come la sua cucina. Siamo, come si legge nella presentazi­one dell’Antica Corona Reale di Cervere, «nel cuore della piana cuneese sospesa tra Langhe e Monviso». Per me si tratta della porta più vera e gustosa sulla strada delle Langhe. I sapori e i profumi sono quelli. Il passato e il presente qui si intreccian­o in una sintesi perfetta che racconta una storia cominciata, secondo gli archivi comunali, nel 1855 ma che può arretrare anche fino al 1815. Là dove c’erano stallaggi e scuderie di una stazione di posta, ora ci sono le eleganti e insieme accoglient­i sale del ristorante.

La Corona Reale deriva dal fatto che il bisnonno Lorenzo cacciava con Vittorio Emanuele III nella tenuta della vicina Reggia di Pollenzo. E poi il Re veniva a qui a soddisfare la passione per rane, lumache, pesciolini di fiume. È il nonno Eugenio che tira su il piccolo Gian Piero, mentre papà Renzo manda avanti l’Osteria, nome che viene aggiunto negli anni ’60/70. Non è un problema di termini, ma di prospettiv­a. «Anni bui» li definisce Gian Piero, che pensa a un altro percorso per il ristorante di famiglia. Un giorno, trova su una bancarella di un mercatino romano una Guida del Touring del 1914, dove l’Antica Corona Reale viene nominata. Ecco, scatta allora il desiderio di rivederla nelle guide, di sentirla conosciuta non solo per quei banchetti da gita fuori porta interminab­ili e pesanti. Gian Piero frequenta la scuola alberghier­a a Mondovì, poi va in Francia a fare esperienza. «È stata l’estate da Georges Blanc a cambiarmi la vita. I miei coetanei erano in vacanza, io lì a lavorare. Ero motivato a conquistar­e la stella». Ora ne ha due, una clientela che lo ha seguito nei cambiament­i, importanti collaborat­ori che hanno creduto del progetto. Il suo motto è: andare avanti, ma guardare indietro. Perché sono qua? Perché questa è la stagione del tartufo e Gian Piero Vivalda lo tratta con il rispetto che merita. «Ho venti trifolao che vanno a cercarlo di notte e ognuno me ne porta un pezzo o due per volta. Il commercian­te raccoglie non si sa dove. È come prendere una mela dal cesto o dalla pianta. Quella dalla pianta la scegli». È una buona stagione per il tubero d’oro che Gian Piero esalta nell’uovo in cocotte. «Credo nelle materie prime, cerco cappone, coniglio,

Un’altra vita Gian Piero Vivalda: è stata l’estate da Georges Blanc a cambiarmi la vita

peperone e acciuga migliori, inseguo la freschezza in cucina in piatti alleggerit­i ma mai snaturati». La domenica mattina guardava sua nonna ai fornelli. Sapori che gli sono rimasti nel cuore e che ripropone nel menu: trippa con i porri di Cervere, ravioli gobbi, gallina in carpione e la finanziera, must di suo padre. «Del passato non mi interessa la nostalgia ma i profumi». Qualche esempio: millefogli­e di peperone quadrato di Carmagnola, acciughe di del Mar Cantabrico e melanzane assortite, ravioli ripieni di Bettelmat e tuorlo liquido, burro nocciola e tartufo bianco d’Alba. Però il cotechino che i Vivalda preparano da cent’anni vale il viaggio da solo.

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