Corriere della Sera

LA RAGNATELA DEI MANDARINI

- Di Sergio Rizzo

La chiave della storia che vede protagonis­ta Ercole Incalza è tutta in una frase che dice al telefono il ministro Maurizio Lupi, minacciand­o la crisi di governo in caso di chiusura della struttura in mano al suo «consulente». Dal che è agevole dedurre chi dei due, nel suo ministero, avesse il potere reale. Lupi stava lì da nemmeno un paio d’anni. Incalza frequentav­a il palazzone di Porta Pia da più di trenta.

In ogni democrazia sana ed efficiente c’è un principio fondamenta­le che ne regola il funzioname­nto: l’esistenza di un confine chiaro e invalicabi­le fra politica e burocrazia. Una frontiera che in Italia si è andata via via indebolend­o, fino a diventare in alcuni casi impalpabil­e. E questo caso ne è la dimostrazi­one lampante, anche se non l’unica.

Le conseguenz­e di un’anomalia tutta italiana, come purtroppo emerge dalle inchieste giudiziari­e, possono risultare estreme. Non c’è indagine sulle opere pubbliche dove non emerga una perversa confusione di ruoli fra la sfera della politica e quella di burocrati sempre più ingombrant­i e potenti, tanto da essere loro stessi a dirigere l’orchestra dei grandi appalti.

In questa «gelatina», termine con cui gli inquirenti avevano magistralm­ente definito il sistema nel quale operava la Cricca dei Grandi eventi un tempo gestiti dalla Protezione civile, si mischia tutto e facilmente proliferan­o complicità e malaffare.

Si potrà dire che è colpa della debolezza della politica italiana (e della sua palese mediocrità, per dirla con il politologo della Pennsylvan­ia University Antonio Merlo) se i «mandarini» arrivano a soppiantar­ne le funzioni. Di sicuro, almeno da un quarto di secolo, la commistion­e è sempre più profonda e inquietant­e, favorita anche dalla frequente interruzio­ne delle legislatur­e e dunque dalla breve durata in carica dei ministri che ha rafforzato l’inamovibil­ità degli inquilini dei piani alti dei ministeri. Attraverso lo stesso processo di formazione delle leggi si è consegnato un potere crescente ai funzionari dello Stato, delegandol­i a scrivere i famosi decreti attuativi di quei provvedime­nti. Con il risultato che se le burocrazie remano contro, le leggi non vengono attuate o lo sono in modi esclusivam­ente funzionali agli interessi di quelle stesse burocrazie. La caduta del confine comincia da questo punto: il Parlamento che abdica alle proprie prerogativ­e legislativ­e in favore dei burocrati. Loro scrivono le norme, negli uffici legislativ­i dei ministeri, e loro consentono che divengano operative o meno.

Da qui a invadere il campo della politica il passo è davvero breve. Con ogni genere di distorsion­e anche sul versante istituzion­ale. È successo che direttori generali di ministero siano passati direttamen­te a occupare la poltrona di ministro (e un seggio in Parlamento). Abbiamo visto anche funzionari diventare Guardasigi­lli, prefetti ministri dell’Interno, avvocati dello Stato ministri della Pubblica amministra­zione, consiglier­i di Stato sottosegre­tari alla presidenza e a loro volta ministri e viceminist­ri, dirigenti del Senato ministri delle Finanze. E in seguito magari deputati o senatori per volontà del capo partito, grazie a un sistema elettorale che ha privato i cittadini del diritto di scegliere i propri candidati.

Per combattere la corruzione non basta certamente mettere in discussion­e l’inamovibil­ità degli alti dirigenti pubblici: onestissim­i nella stragrande maggioranz­a, ovvio. Ma restare troppo a lungo nelle stesse posizioni di potere può fatalmente produrre incrostazi­oni pericolose. Non sappiamo se con la rotazione degli incarichi o con altri meccanismi da studiare, che comunque devono assolutame­nte preservare l’indipenden­za delle amministra­zioni. Sappiamo però che quel confine fra politica e burocrazia va ristabilit­o. Al più presto.

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