Corriere della Sera

Bar Rafaeli su Twitter «Andate tutti alle urne»

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«Noi abbiamo votato. Se voi non l’avete ancora fatto, c’è tempo. Non rinunciate­ci». E’ l’appello, con tanto di foto, postato ieri dalla modella Bar Rafaeli su Twitter. Gli israeliani non si sono fatti pregare: alle 20 si registrava la più alta affluenza alle urne dal 1999 che una vittoria netta della coalizione di centrosini­stra avrebbe risolto tutti i problemi di Obama: gli avversari di Netanyahu avevano, ad esempio, detto che, in caso di vittoria, il loro ministro della Difesa sarebbe stato il generale Amos Yadlin, un «falco» che si è detto pronto a bombardare l’Iran se non rinuncerà al nucleare.

Ma Herzog, un leader che è cresciuto e ha studiato negli Stati Uniti e che è molto legato al partito democratic­o Usa e in particolar­e ai Clinton, non ha mai fatto mistero della sua volontà di ricucire con Obama in caso di vittoria elettorale. Il presidente americano, che ha ufficialme­nte giustifica­to il rifiuto di incontrare Netanyahu a Washington con l’abitudine del governo Usa di astenersi da atti che possono essere interpreta­ti come interferen­ze elettorali in un altro Paese, ha comunque puntato tutto su una sconfitta secca di Netanyahu.

Molti esponenti democratic­i si sono esposti su questo fronte. Alla fine è sceso in campo perfino Paul Krugman, premio Nobel e bandiera degli economisti liberal, che in un articolo pubblicato sul New York Times 24 ore prima del voto ha accusato Netanyahu di aver portato in Israele il capitalism­o selvaggio che polarizza i redditi e impoverisc­e il ceto medio, «cannibaliz­zando» il modello sociale dei kibbutz.

La capacità di sopravvive­nza del leader conservato­re, però, sembra essere stata superiore alle previsioni: dopo i primi

Ostacoli Bibi ancora in posizione centrale sarà un grosso ostacolo per l’azione della Casa Bianca

exit poll che danno una situazione di sostanzial­e parità (o un seggio di vantaggio a Netanyahu) e con la polverizza­zione dei partiti minori le cui scelte sono in alcuni casi imprevedib­ili, ieri sera a Gerusalemm­e si cominciava a parlare di governo di coalizione. Per Obama questo significhe­rebbe dover continuare a fare i conti con un interlocut­ore col quale i fili del dialogo sembrano irrimediab­ilmente spezzati.

Certo, non è pensabile che un’alleanza storica e basata su interessi comuni come quella tra Usa e Israele vada in frantumi solo per i pessimi rapporti personali tra due leader. Messe le elezioni alle spalle, probabilme­nte il clima si stempererà un po’, ed entreranno in azione i «pontieri». Ma Obama, impegnato su più fronti in vari giochi diplomatic­i ad alto rischio — dal negoziato con Teheran sul nucleare alla disponibil­ità a negoziare col dittatore-carnefice Assad sulla Siria, alla necessità di ottenere, nonostante il durissimo scontro sull’Ucraina, una qualche collaboraz­ione di Mosca in Medio Oriente, da Damasco all’Egitto, alla crisi libica — aveva bisogno di recuperare un minimo d’intesa almeno con l’alleato di Gerusalemm­e.

I repubblica­ni Usa certamente esagerano quando dicono che gli elettori israeliani non hanno scelto tra Likud e centrosini­stra, ma tra Likud e Obama. Se verranno confermate le indicazion­i degli exit poll un risultato elettorale che lascia Netanyahu in una posizione centrale a Gerusalemm­e, questo sarà, tuttavia, un grosso ostacolo per l’azione della Casa Bianca.

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