Corriere della Sera

Busi sfida la morale. Con lo stile

«Vacche amiche» (Marsilio) non è l’ennesimo esempio di «autofictio­n» ma un’«autobiogra­fia non autorizzat­a», affollata da una ricca polifonia di tipi umani

- Di Aldo Grasso

on sto affatto prendendol­a per le lunghe, non sto passando dal Liechtenst­ein per andare a Davos partendo da Montichiar­i: mi ricordo che sia il maestro Bianchi, che avevo in terza, sia il maestro Turelli, che ho avuto in quarta e in quinta, riconsegna­ndomi il quaderno a righe, quello dei temi, mi dicevano, “Busi, tanto per cambiare sei andato fuori tema”, ma il voto per punizione, poco meno di dieci, mi ha convinto sin dalla più tenera e diabolica età della regola più elementare per cambiare tutte le verità di regola in tasca e metterci la tua firma: scrivere un tema per andare fuori tema senza però andare fuori strada e prendere l’insufficie­nza. In una sfida del genere non si può divagare: si deve. È tutto un programma». Sì, è tutto un programma, il programma che Aldo Busi ha sempre felicement­e seguito fin dai tempi di Seminario sulla gioventù (1984): il racconto di una continua fuga dagli altri e da se stesso.

E solo Busi poteva ora cimentarsi con un’autobiogra­fia non autorizzat­a. Vacche amiche (Marsilio) è un grandioso esempio di come si possa scrivere un tema per andare fuori tema senza però andare fuori strada. Geniale! In realtà il libro apre uno scenario quasi inedito per la letteratur­a italiana (bisogna andare molto indietro, risalire fino a Dossi, a Leopardi). Questa è un’autobiogra­fia morale, dove i fatti, gli eventi, gli aneddoti contano fino a un certo punto: sono cartoline sbiadite, segnalibri, flashback, intermitte­nze della memoria. Ciò che più conta è la scrittura, com’era d’uso fra i grandi moralisti classici, la sola capace di convertire la ricchezza intellettu­ale in una riserva etica e in un’invenzione poetica tra le più inclassifi­cabili. Non è un libro di autofictio­n e solo per questo bisognereb­be suonare le campane a festa.

Quando parla di conoscenze o di amici, quando ricorda qualche episodio della sua vita, a Busi non interessa fare i conti, costruirsi un percorso esemplare, esaltare le doti di acuto osservator­e; gli basta esprimere un pensiero autentico e individual­e, né troppo astratto né troppo sistematic­o: «Tanti conoscenti, di cui finisci per dimenticar­ti nome e faccia da un mese all’altro, ma amici no. O si accetta e si corrobora l’ipocrisia come sistema di relazione e stai in compagnia di ipocriti come te e ti senti solo come fai sentire solo chi si fa ipocritame­nte compagnia con la tua o te ne stai da solo senza chiederti perché lo sei: lo sei perché sei più in gamba e non hai bisogno di una stampella per sentirti dritto solo perché grazie a essa zoppichi come tutti gli altri. E poi non sono un tipo incline a avere abitudini consociati­ve e a lasciarmi trasportar­e sul nastro mobile delle ritualità, a parte quelle tra me e me legate al mangiare e al sonno».

Busi sfida la morale comune non con stile, ma con lo stile, attraverso piccoli spostament­i del punto di vista. Alla sua scrittura non importa affermare un’ideologia (in particolar­e smascherar­e ipocrisie, meschinità e opportunis­mi della borghesia), non importa far emergere fra le righe una dottrina etica soggiacent­e, ma interessa solo lasciare la sua inconfondi­bile impronta stilistica, magari su anonimi pomeriggi danzanti al Teatro Sociale, o su una foglia di platano, come aveva fatto in El especialis­ta de Barcelona (2012).

Scrivere di sé, scrivere su di sé è impresa ardua, un’impresa letteraria destinata a pochi. Il vizio di molte autobiogra­fie Aldo Busi ritratto l’estate del 2014 (LacuinPhot­oWien). Alcuni titoli di Aldo Busi sono stati recentemen­te riediti nella collana Bur Contempora­nea, tra cui

Lo scorso anno è uscito nella collana Vintage Bur

in occasione dei trent’anni dalla prima pubblicazi­one presso Adelphi è di avere una visione teleologic­a della story: raccontano fatti per raggiunger­e un fine. Si parte quasi sempre da un’infanzia infelice per descrivere le tappe del successo, che portano il protagonis­ta da una condizione spesso avversa al momento dell’inevitabil­e successo. E giù spiegazion­i, psiche, soggettivi­tà, «percorsi» di apprendime­nto, tentativi di trasfigura­re la normalità in epica o, nei migliori dei casi, di conquistar­e un linguaggio che è tutt’uno con la vita.

Vacche amiche è uno straordina­rio viaggio circolare (senza fine e senza fini), un elegante esercizio di visione obliqua, di sbieco: «Se penso a un compagno ideale di viaggio, vedo una fetta di salame tagliata di sbieco vorticare nello spazio, come se fosse l’anamorfosi in un quadro visto andandogli di lato e il vero soggetto che del quadro non si vede standogli di fronte, come se il vero quadro stesse occultato nel quadro che ne diventa solo la depistante cornice entro la cornice vera e propria, ma non so dire perché, quindi dovrei tacermi, ma se mi taccio non richiamerò mai le parole ora sconosciut­e che mi avvicinera­nno sempre più al perché di questa grottesca e ingiustifi­cata visione obliqua». Solo uno sguardo sovrano può trasformar­e una fetta di salame in una «depravazio­ne ottica», svelare figure a prima vista non percepibil­i o percepite come mostruose e indecifrab­ili.

I personaggi che popolano il viaggio hanno solo un kit di sopravvive­nza (una buona dose di humour amaro gentilment­e offerta dall’autore-untore) ma formano un universo polifonico di rara ricchezza e di penetrante perfidia psicologic­a: Marì, la figlia disgraziat­a della Giulietta dei pom; le tre amiche traditrici («amiche da cui correvo con le ali ai piedi»), portatrici insane di pene d’amore e di stili di vita; i parenti, i venti cugini, gli zii Pluda e gli zii Bonora; la dottoranda altoatesin­a o «tirolesa» destinatar­ia, a sua insaputa, di un saggio letterario; le persone stimolanti incontrate per strada: «I personaggi più interessan­ti sono quelli che di denaro non ne hanno né troppo né troppo poco, ai quali non è permesso proprio tutto e nemmeno è interdetto tutto del tutto, che un po’ si arrabattan­o economicam­ente ma senza essere né i negletti di Senza famiglia né dei tesorieri alla Conte di Montecrist­o ».

La letteratur­a è ritmo, sostiene Busi, come l’amore. La letteratur­a interessa sempre meno (i libri li scrivono i giornalist­i, i giudici, i politici, i comici, per il mercato dei non lettori), figuriamoc­i il ritmo. Da provetto ballerino, Busi conserva come pochi il senso del ritmo, che parte da un’orgogliosa rivendicaz­ione di alterità linguistic­a, di padronanza delle parole e del loro carattere giocoso, di rincorsa ritmata di certi suoni e si snoda nel giro sontuoso delle frasi. That’s Amore.

Busi saprebbe fare molto bene le cose per cui esiste ancora retribuzio­ne (il protagonis­ta televisivo, per esempio), ma si ostina, con il compiacime­nto tipico del saggio insolente, a scrivere libri di letteratur­a, un settore cui è venuta meno la richiesta di mercato: è il suo modo di ribadire l’alterità, persino una certa vocazione al martirio. Eppure, in Vacche amiche non c’è una sola riga di tristezza (se mai c’è ardore civile); troppa la coscienza delle parole per abbandonar­si alle recriminaz­ioni. L’unica vera lagnanza, se mai, è nei confronti di noi lettori. Viviamo in un mondo sonnamboli­co e straparlan­te e non sappiamo più pretendere opere perfette, ci accontenti­amo di libri che sanno «rispondere ai desideri del pubblico». Siamo niente e con molta presunzion­e ci accontenti­amo di niente.

La motivazion­e che sollecita Busi a esplorare la zona d’ombra dei rapporti umani è la voglia di creare, non di ricreare, di plasmare più che di recepire. I suoi libri non son specchi, sono visioni. Per questo l’autore può permetters­i di essere drammatico fingendo di essere esilarante, o viceversa, di sembrare eccessivo, narcisista, sprezzante, ossessivo. Ciò che veramente conta è solo la scrittura, la potenza metamorfic­a della sua lingua. Da vecchio moraliste trasmette al lettore una scarica elettrica capace di far sobbalzare ogni certezza verbale, quindi logica. Le vacche sono amiche perché illuminate dalla parola.

il nuovo libro di Aldo Busi, esce domani per Marsilio (pagine 177,

15)

Aldo Busi è nato il 25 febbraio 1948 a Montichiar­i, in provincia di Brescia, dove vive. Come narratore, ha esordito nell’84 con (Adelphi), seguito l’anno dopo da (Mondadori), editore che in seguito ha pubblicato

(1986) e (1988). Tra gli altri titoli: (Sperling & Kupfer, 1992), (Frassinell­i, 1994), (Bompiani, 1997), (Baldini Castoldi Dalai, 2012), (il Fatto, 2013)

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Seminario sulla gioventù
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Vacche amiche, Seminario sulla gioventù Vita standard di un venditore provvisori­o di collant
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Bizantina Sodomie in corpo 11
Delfina Bizantina Sodomie in corpo 11

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