Discorsi dei presidenti
Caro Romano, nei più significativi e memorabili discorsi dei presidenti Usa — da ultimo quello pronunciato da Obama per i 50 anni della marcia per i diritti degli afroamericani organizzata da Martin Luther King — compare pressoché sempre l’invocazione a Dio perché benedica, aiuti e protegga l’America. I presidenti non si sono mai fatti scrupolo nel pronunciare a chiare lettere il nome di Dio, non curandosi affatto di lasciarlo sottintendere per non urtare la sensibilità di chi credente non era. Probabilmente se persistono nel farlo, è perché sanno in anteprima che gli americani gradiscono il riferimento al divino inteso come entità che sovraintende ai destini della più potente nazione del mondo. Facendo una comparazione con i discorsi dei presidenti italiani, l’accenno a Dio o non compare o compare di rado o in modo prudenzialmente soffuso nei presidenti cattolici, mentre in quelli atei o agnostici il termine non trova alcuna collocazione. Il riferimento alla divinità nei discorsi dei capi di Stato è generalmente una variabile dipendente dal loro credo personale o dal credo confessato e praticato dalla stragrande maggioranza della popolazione?
A me sembra che il problema dell’uso politico del nome di Dio sia già stato risolto dal Secondo comandamento: “non nominare il nome di Dio invano”. La Chiesa ha il diritto di criticare lo stile di vita troppo «disinvolto» di un leader Le lettere firmate con nome, cognome e città, vanno inviate a «Lettere al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579 lettere@corriere.it www.corriere.it sromano@rcs.it Risposte alle 19 di ieri
La domanda di oggi
Matteo Renzi: è difficile che siano ancora cinque le forze di polizia, dobbiamo andare verso un’integrazione Condividete?
Caro Nunziati,
NCritiche ai leader