In bolletta 1 miliardo È il «regalo» dell’energia verde
Una stangata sulle bollette della luce, a partire dal 2016, causata dalla fine del meccanismo dei «Certificati verdi» (gli incentivi alle energie rinnovabili ndr). L’aumento straordinario ipotizzato dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, pari a oltre un miliardo di euro, rischia di pesare soprattutto su famiglie e piccole e medie imprese. Ma il ministero dello Sviluppo economico (Mise) sta cercando di correre ai ripari monitorando la situazione per evitare rincari record a milioni di utenti.
Tutto parte dal decreto legislativo 28 del 2011 che ha ridefinito le politiche sugli incentivi alle rinnovabili, spedendo in soffitta i Certificati verdi: questi sono titoli negoziabili, destinati ai produttori di energia che hanno l’obbligo di immettere annualmente nel sistema nazionale una quota minima di elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili. L’obbligo può essere rispettato in due modi: immettendo in rete energia prodotta da fonti rinnovabili oppure, se si produce energia non «pulita», acquistando i Certificati dai produttori «verdi». Al loro posto il decreto ha introdotto un diverso sistema, basato sulle tariffe, metodologia più in linea con l’Ue. Con l’arrivo del nuovo meccanismo, diretto a stimolare la concorrenza e ridurre gli oneri in bolletta, i Certificati verdi dal 2012 ad oggi sono stati gradualmente ridotti e ritirati dal Gestore della rete (Gse). Ma per il gioco dei vasi comunicanti il loro peso è stato intanto gradualmente spostato sulla bolletta, mentre prima si scaricava sul costo all’ingrosso. Ora che i certificati dovranno essere del tutto ritirati dal mercato, il Gse dovrà acquistarli per un onere complessivo stimato in oltre un miliardo. Che fare? Per i tecnici del Mise la riduzione del prezzo all’ingrosso dell’elettricità (4-4,5 euro a megawatt/h) andrà in parte a compensare l’aumento del 2016 degli «oneri di sistema» in bolletta. Un ruolo non secondario sulla stangata potranno giocarlo gli sgravi che il Parlamento potrebbe decidere per le grandi industrie. Che però peserebbero su famiglie e piccole e medie imprese.