Corriere della Sera

UN GIGANTE CON TANTI CESPUGLI

- Di Antonio Polito

Se tutto resterà com’è, non c’è da andar tanto fieri della riforma elettorale che Montecitor­io si appresta a varare. Innanzitut­to per un problema di metodo. Le leggi elettorali sono le regole del gioco politico, e dovrebbero perciò essere considerat­e imparziali dal maggior numero possibile di giocatori. Altrimenti nascono zoppe, con maggioranz­e risicate, e hanno vita breve, come accadde prima al Mattarellu­m e poi al Porcellum. L’Italicum sembrava partito bene. Renzi chiarì che per evitare quel rischio bisognava cercare un compromess­o tra le maggiori forze politiche. Per questo fece un accordo con Berlusconi, e a chiunque chiedesse modifiche replicò che non poteva tradire quell’accordo. Per questo ne offrì uno, a un certo punto sembrò anche seriamente, ai Cinquestel­le. E invece in dirittura finale l’Italicum arriva con un sostegno politico molto ristretto, perfino inferiore alla stessa maggioranz­a di governo, a causa della fronda interna al Pd; addirittur­a inferiore al consenso con cui fu approvato il Porcellum, che per lo meno ebbe i voti di tutti i sostenitor­i del governo dell’epoca, e cioè Forza Italia, An, Lega Nord e Udc.

C’è dunque un’elevata probabilit­à che gran parte dello schieramen­to politico consideri ostile la legge che sta per essere approvata, e ne contesti aspramente la legittimit­à anche in futuro, fino magari a sostituirl­a per l’ennesima volta quando le maggioranz­e muteranno. Non sarebbe una novità: da vent’anni cambiamo sistema elettorale ogni dieci anni.

Ma se il risultato fosse eccellente, e cioè una legge elettorale di stampo europeo al di sopra di ogni sospetto, si potrebbe anche tollerare il modo in cui nasce. Purtroppo non è così. Di stampo europeo certamente non è, perché il premio di maggioranz­a non esiste in nessuna delle grandi democrazie europee con l’eccezione della Grecia (anche se il premier garantisce che correranno a copiarcela tutti). Al di sopra di ogni sospetto nemmeno, perché introduce di fatto l’elezione diretta del capo del governo senza dargliene i poteri e senza prevedere i contrappes­i che esistono nei sistemi presidenzi­ali. Produrrà dunque uno pseudo presidente in uno pseudo Parlamento, quest’ultimo essendo ulteriorme­nte indebolito dal declassame­nto del Senato a vacanze romane dei consiglier­i regionali e dalla selezione per nomina di un elevato numero di dep ut a t i . Pe r d i pi ù , no n prevedendo la possibilit­à di apparentam­enti al secondo turno come invece è nelle città italiane e nel Parlamento francese, assegna il 55% dei seggi a uno solo e il restante da dividere tra tutti gli altri, che a questo punto saranno molti visto che lo sbarrament­o è al 3%. Il risultato non sarà una forte e responsabi­le opposizion­e, bensì un coacervo di sigle frammentat­o e impotente, inevitabil­mente portato al chiasso mediatico e alla protesta demagogica.

Un gigante e tanti cespugli: non è esattament­e questa la democrazia rappresent­ativa in Europa. Non stiamo infatti per approvare una legge maggiorita­ria, che moltiplica i voti in seggi per dare una maggioranz­a; ma una legge proporzion­ale, cui alla fine si sommano i seggi del premio. Della stessa famiglia, dunque, delle tre più contestate della nostra storia: la legge Acerbo del 1923, la cosiddetta leggetruff­a del 1953 (su entrambe il governo mise la fiducia) e la legge Calderoli del 2005.

I difetti dell’Italicum sono tanti. Il pregio è unico, ma non da poco: risponde a uno stato di necessità, e riempie il vuoto aperto dalla sentenza della Consulta. Qualsiasi legge elettorale è meglio di nessuna legge elettorale. Però in sedici mesi si doveva (e si può ancora) fare di meglio.

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