Quella legge impantanata da 25 anni
Ma da domani torna in aula. Per gli agenti previsti fino a dodici anni di carcere
La legge sulla tortura? È pronta. Da domani sarà in aula a Montecitorio e «si avvia a colmare un vuoto evidenziato dalla sentenza sulla Diaz». A sentire le dichiarazioni di ieri, inclusa quella del presidente della Camera, Laura Boldrini, riparare alla pessima figura fatta con la censura di Strasburgo al nostro Paese privo di un reato specifico, sembra quasi cosa fatta. Solo una questione di tempo. Discutere gli emendamenti, poi un passaggio fugace al Senato e voilà. Ma è davvero così? E, viene da chiedersi nel giorno della condanna della Corte europea dei diritti umani, se il risultato era tanto a portata di mano perchè non si è portato a casa prima, giacchè la convenzione Onu contro la tortura risale al 1984?
In realtà che si sia giunti alla svolta definitiva sembrano crederci in pochi. Da quando, nel 1989 , la convenzione è stata ratificata i tentativi per creare un reato specifico sono stati numerosi in tutte le legislature. « Il testo è una mediazione equilibrata. Spero in un sì unanime, cosicchè il Senato possa trasformarla in legge definitiva entro l’estate», dichiara Donatella Ferranti, presidente pd in commissione giustizia. «Vedremo. Speriamo», sussurrano in molti, dietro l’ottimismo di facciata.
Con l’impianto approvato in Senato e i piccoli ritocchi della commissione giustizia, il ddl prevede pene pesanti per i torturatori. Da 4 a 10 anni di reclusione per chiunque, con violenza o minaccia, o violando i propri obblighi di cura o assistenza, intenzionalmente cagiona a una persona a lui affidata, o sottoposta alla sua autorità, sofferenze fisiche o psichiche acute e ulteriori rispetto alla detenzione. Al fine di ottenere dichiarazioni o informazioni, infliggere una punizione, vincere una resistenza, o in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose. I termini di prescrizione raddoppiano, dunque il reato si estinguerà, in caso non arrivi prima la sentenza definitiva, dopo 20 anni. Ci sarà il divieto assoluto di espulsione o respingimento verso Paesi che praticano la tortura o violano sistematicamente e in modo grave i diritti umani. E non sarà utilizzabile in un processo qualsiasi dichiarazione estorta sotto tortura, a meno che l’imputato non sia un torturatore. Non varrà, per gli stranieri, alcuna immunità.
Ma il punto cruciale è quello relativo ai pubblici ufficiali o agli incaricati di pubblico servizio. Il reato, nel testo, è lo stesso, ma viene punito con una pena aggravata da 5 a 12 anni. Così ieri, mentre Forza Italia con Ciro Falanga attribuiva alla Ferranti la responsabilità della condanna di Strasburgo («dopo più di un anno la Camera non ha ancora licenziato il testo»), e mentre il Pd replicava alle «accuse inaudite», sono tornate a farsi sentire le voci contro la «demonizzazione delle forze dell’ordine». I sindacati di polizia chiedono che l’«emotività non influenzi il dibattito sulla tortura». E il centrodestra fa eco. Da Forza Italia con Lucio Malan («La sentenza non deve esser strumentalizzata»), all’Ncd Fabrizio Cicchitto («Non si dimentichi la guerriglia urbana»), all’Fdi con Edmondo Cirielli («Non criminalizziamo le forze di polizia»).
Il timore di non inimicarsi le forze dell’ordine ha avuto un ruolo in questo rinvio dell’approvazione finale della norma. Sempre annunciata, approvata in un ramo del Parlamento e poi dimenticata lì. Malgrado i richiami dell’Europa. L’ultimo arrivato a luglio del 2012. Stavolta, dopo lo schiaffo di Strasburgo, il Parlamento riuscirà a tenere a mente l’esistenza di quel provvedimento fino all’approvazione finale? Marco Pannella non ci crede: «L’Italia non si dota del reato di tortura perché la pratica ogni giorno nelle carceri», denuncia e riprende lo sciopero della sete.
Il nodo Tra le cause dei tantissimi rinvii il timore di inimicarsi le forze dell’ordine