Corriere della Sera

La vicenda

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L’irruzione della polizia nella scuola Diaz di via Cesare Battisti avvenne il 21 luglio del 2001 alla fine del G8. Causò 63 feriti e 93 arresti

Il blitz fu ordinato mentre gli ospiti dormivano nei sacchi a pelo nella palestra dell’istituto al posto degli arresti domiciliar­i toccati in sorte ai colleghi condannati con loro. In questo modo oltre alla pena si estingue l’interdizio­ne dai pubblici uffici, che per tutti gli altri scadrebbe invece alla fine del 2018.

Il primo che potrebbe riprendere servizio è proprio il vicequesto­re del reparto mobile di Roma Pietro Troiani, una figura importante in quella storia sporca di coperture e omissioni che ha impedito di arrivare alla verità. Fu lui a portare all’interno della scuola le molotov false che dovevano rappresent­are la prova della pericolosi­tà dei no global. Era la cerniera tra le due polizie di quella notte, la catena di comando e la manovalanz­a violenta dei celerini. Ancora qualche settimana e per lui tutto sarà come prima. E pazienza se le 66 pagine giunte da Strasburgo infierisco­no soprattutt­o sul «depistaggi­o sistematic­o» e la mancata collaboraz­ione con gli inquirenti che impedì di dare un volto alla barbarie.

«Il crollo delle mie illusioni è quel che mi ha fatto più male. Sono uno cresciuto con il mito della Resistenza, di un Paese giusto. Prima di quella notte credevo a uno Stato e alla sua Polizia democratic­a. Quando entrarono pensai a dei teppisti. Erano uomini delle istituzion­i, invece. Hanno fatto cose indicibili. E nessuno ha mai riconosciu­to questo abominio. È per questo che sono andato a cercare uno spiraglio di luce da un’altra parte. Meglio di niente». Cestaro aveva 62 anni, ma sembrava già più vecchio della sua età. Era arrivato a Genova con un pullman di Rifondazio­ne comunista. Quella sera cercava un tetto sotto al quale dormire, i suoi amici erano ripartiti in fretta dopo gli scontri del pomeriggio. Fu una insegnante della scuola conosciuta in corteo che lo spedì alla Diaz. Il ricorso accolto dalla Corte europea per i diritti dell’uomo è suo. «Vecchio, dovevi restare a casa » urlavano mentre gli spaccavano le ossa nella palestra. La sentenza di Strasburgo ci condanna a quel che sapevamo già, alle nostre inconfessa­bili vergogne di Stato. Ma almeno mette un punto fisso. Perché il ricordo senza giustizia è solo un esercizio di stile.

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