Come idoli pop. I 14enni sedotti dal terrorismo
Fermati due teenager che preparavano attentati, un altro è fuggito in Siria
Gli ultimi casi sono di Pasqua: un quattordicenne di Blackburn e una sedicenne di Manchester fermati perché su di loro cade il sospetto che stessero preparando un attentato. Poi un diciassettenne dello Yorkshire, Hassan Munshi, folgorato dalla suggestioni dell’islamismo radicale e, si pensa, in viaggio verso la Siria (suo fratello Hammad aveva 15 anni quando fu accusato di avere progettato un omicidio).
Adolescenti. Come lo sono le tre studentesse inglesi fuggite in Siria ai primi di marzo, per non parlare delle decine di segnalazioni dei mesi precedenti nel Regno Unito. Ma anche come Sabrina e Samra, austriache. Oppure quei ragazzini e quelle ragazzine d’Australia, degli Stati Uniti e della Francia che hanno lasciato il loro mondo per arruolarsi nel Califfato. Non si parla di «lupi solitari», di emarginati o di giovani donne o di giovani uomini, ventenni o trentenni che hanno probabilmente maturato una convinzione politico-religiosa (folle, irragionevole, estremista che sia) e se ne sono andati pieni di indottrinamenti. Si parla di maschi e di femmine in un’età ancora vicina all’infanzia, poco più che bambini, incapaci di elaborazioni intellettuali. Sognatori. Emulatori. Di buona famiglia. Bravi a scuola.
Da tempo, sono loro, i quattordicenni, i quindicenni, i sedicenni, uno degli obiettivi della propaganda dell’Isis, veicolata da Internet. Un attacco mediatico che gli «esperti» dello Stato Islamico svolgono con la consapevolezza di colpire personalità in formazione: le cavie di un’operazione di massa a scopi terroristici. L’ex procuratore del «Crown Prosecution Service» nel Nordest londinese, il musulmano Nazir Afzal, parlando col Guardian ha messo bene a fuoco questo meccanismo: nei filmati, nelle foto, nei messaggi rilanciati dall’Isis, i miliziani si atteggiano a «eroi», così da colpire l’immaginazione dei più fragili. «Gli estremisti vengono percepiti come idoli pop. I ragazzini vogliono essere come loro, le ragazzine vogliono stare con loro. Esattamente ciò che accadeva coi Beatles e recentemente con gli One Direction e Justin Bieber. Troppi dei nostri adolescenti si innamorano del marketing terrorista che usa una tecnica tipica pure dei predatori sessuali di minori, distraggono la vittima, la isolano dal gruppo e alla fine la catturano».
Con l’analisi dell’ex procuratore Nazir Afzal, coincide il pensiero della studiosa americana Jessica Stern (che fece parte del Consiglio Nazionale di Sicurezza ai tempi della presidenza Clinton): «Gli adolescenti sono alla ricerca di una identità forte e di autonomia. Il messaggio dell’Isis è semplice: venite e combattete o se non combattete lavorerete negli ospedali, sarete ingegneri, sarete informatici, sarete madri. Offrono una prospettiva, terribile certo, ma una prospettiva a chi la sta cercando. Pericolosissimi».
Ed è interessante, in questo contesto, la testimonianza di Humaira Patel, una giovane musulmana che è parte di un progetto di ricerca dell’università di Oxford. Humaira, che era amica di Shamina, di Amira e di Kudaza, le ultime volate in Siria, ha scritto sul Guardian: «L’Isis pubblicizza la Siria come se fosse Disneyland, promette alla ragazzine un futuro da principesse, promette amore e divertimento».
I servizi segreti britannici hanno una squadra impegnata nello studio dei profili degli adolescenti caduti nella trappola del radicalismo: i ragazzi e le ragazze sono calamitati dai presunti «eroi», i manipolatori di professione. Un video che circola ora su YouTube lo dimostra. Riprende ragazzini, inquadrati in un campo di addestramento dell’Isis, persino bambini. Marciano, cantano. Una voce dietro la telecamera li definisce «i cuccioli del Califfato che un giorno conquisteranno Roma». Lavaggio dei cervelli. E l’ex procuratore Nazir Afzal alza il livello di guardia: «Se non si interviene, il rischio che qualcuno compia un attentato simile a quello sulle metropolitane di Londra è davvero alto».