Corriere della Sera

Al gran bazar delle Regionali «I politici locali usano i partiti come fossero un franchisin­g»

Il politologo Campi: restano solo potentati e consensi personali

- Erika Dellacasa

Se perdi una puntata rischi di non capirci più nulla. Le Regionali 2015 sono un tale intreccio di alleanze e spaccature — tra i partiti, ma soprattutt­o dentro ai singoli partiti — da mettere a dura prova la buona volontà di informarsi degli elettori. Si vota domenica 31 maggio in sette Regioni (e anche in 1.089 Comuni) per un totale di circa 17 milioni di italiani chiamati alle urne. A meno di due mesi dall’election day «il dato più significat­ivo — secondo Alessandro Campi, che insegna Storia del pensiero politico all’Università di Perugia — è l’estrema difficoltà con cui sono stati trovati i candidati, le guerre in corso per definire le liste: ci dicono molto sul cattivo stato della politica in Italia».

Il quadro, con l’«estrema difficoltà» di cui parla il professor Campi, si è quasi composto: il Pd, che a Roma governa con Alleanza popolare (Ncd+Udc), non ripropone la stessa formula sul territorio. Ma nemmeno l’alleanza con Sel, il vecchio centrosini­stra, è in buona salute: in Liguria, Toscana, Marche e Campania i vendoliani avranno un loro candidato. Al partito «a vocazione maggiorita­ria» guidato da Matteo Renzi giocarsi da solo la partita non dispiace e il cuore della sfida a sinistra sarà in Liguria. Dopo primarie contestate e l’addio polemico di Sergio Cofferati, un parlamenta­re (Luca Pastorino) ha lasciato il Pd per correre contro la candidata del Pd (Raffaella Paita). Mai visto. Forza Italia e Lega, dopo settimane di tentenname­nti, hanno quindi deciso di giocare nella regione la carta di Giovanni Toti, consiglier­e politico di Berlusconi.

Per il centrodest­ra il caso simbolo è il Veneto. Qui è stata la Lega a spaccarsi, da una parte il governator­e uscente Luca Zaia, dall’altro il sindaco di Verona Flavio Tosi. In mezzo Alessandra Moretti, Pd, che tenta il colpaccio in una regione da sempre «impossibil­e» per la sinistra. Mai visto anche qui, se poi si aggiunge che ieri l’ex ministro di FI Raffaele Fitto ha ipotizzato di sostenere Tosi mentre il suo partito corre per Zaia. Liguria e Veneto sono solo i casi più eclatanti dei tanti «inediti» di queste Regionali: in Campania ci sono i dissidenti di FI che si dicono pronti a sostenere Vincenzo De Luca (Pd), nelle Marche c’è un governator­e uscente ex Pd (Gian Mario Spacca) che si ripresenta con il sostegno del centrodest­ra, in Puglia ci sono gli esponenti di Ncd che avevano lasciato Forza Italia proprio per non stare con Fitto, e che ora si ritrovano insieme a Fitto a sostenere il candidato del centrodest­ra Francesco Schittulli.

«La verità — dice Alessandro Campi — è che i partiti non sono più in grado di tenere sotto controllo gli apparati a livello locale. Ciò che succede in periferia ormai sfugge perfino al Pd, che è il partito più strutturat­o». Una volta non era così: «Il legame con la politica nazionale era molto più stretto, ma negli ultimi tre-quattro anni è cambiato tutto. A livello locale contano solo i gruppi di potere, spesso sono trasversal­i e il personale politico passa da una parte all’altra: è una specie di neo feudalesim­o, un livello di disgregazi­one inimmagina­bile, basta vedere cosa è successo dentro al Pd romano».

Eppure non molti anni fa chi perdeva le Regionali (Massimo D’Alema nel 2000) o addirittur­a ne perdeva una sola (Walter Veltroni nel 2009 con la Sardegna) si dimetteva da premier: «Anche se è passato poco tempo, quella era un’altra Italia: centrosini­stra e centrodest­ra erano fronti compatti, con differenze politiche riconoscib­ili. I partiti erano già deboli, ma ora — sostiene Campi — siamo alla conclusion­e di un processo: restano solo potentati locali e consensi personali. E i politici sul territorio spesso usano i referenti nazionali come se fosse un franchisin­g: se uno si dice “fittiano” in Liguria o in Veneto, per esempio, lo fa solo per posizionar­si dentro a un partito».

A mano a mano che le urne si avvicinano, la posta in palio diventerà più chiara anche a livello nazionale: il Pd farà l’en plein o il centrodest­ra riuscirà a vincere in qualche regione? E i Cinquestel­le avranno ancora risultati in doppia cifra? «Alla fine una lettura nazionale ci sarà — conclude Campi. Ma sarà meglio che, dopo le Regionali, i partiti affrontino seriamente questa deriva preoccupan­te che ha preso la politica locale».

«Mi è giunta voce. Ma c’è un modo molto semplice Chi è Raffaella Paita, 40 anni, dopo aver battuto Sergio Cofferati alle primarie liguri dello scorso gennaio, è l’attuale candidata del centrosini­stra alla guida della Regione per Civati di smentire queste illazioni, se tali sono, e di dimostrare coerenza e lealtà con il partito: venga qui in Liguria e sostenga l’unico candidato del Pd, me. Lo invito: venga a fare campagna elettorale per Raffaella Paita invece di essere ambiguo su quella di Pastorino che si è messo fuori dal Pd».

Contestare il sostegno a Pastorino è un conto, ma sospettare un appoggio sottobanco a Toti è un altro...

«Il ragionamen­to è semplice. Pastorino non può vincere. Non ha i numeri. Quindi se l’obiettivo è quello di far perdere me e in questo modo attaccare di rimbalzo Matteo Renzi, perché una batosta in Liguria sarebbe pesante sul piano nazionale, il candidato su cui puntare è quello della destra, Toti. Ma non ci riuscirann­o. Perché io vincerò. Ma non mi posso accontenta­re, devo vincere bene, non mi farò condiziona­re, che è l’altro obiettivo che si pone la sinistra, indebolirm­i. Io andrò avanti, sulla gronda, sul terzo valico, sulle grandi opere». Ha sentito Renzi? «Ci siamo messaggiat­i. Mi ha detto di tirare dritto con coraggio e di essere me stessa. Di concentrar­mi sulla Liguria. Se verrà qui a sostenermi sarà un giorno perfetto».

La frantumazi­one Il quadro delle alleanze incrociate nelle sette regioni dove i partiti sono divisi all’interno

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