Blair al fianco di Miliband. Per stoppare l’«isolazionismo» antieuropeo
Il vecchio e discusso leader è tornato. Ma se sarà la carta vincente o se invece la sua «scorribanda» nella campagna elettorale avrà effetti controproducenti, nessuno fra i commentatori britannici più attenti riesce a prevederlo. Tony Blair è una figura controversa e per un po’ di anni è rimasto ai margini o assente dalla politica interna, inseguito dalle polemiche e accuse sulla guerra in Iraq e sul fiancheggiamento alla politiche americane, dai pettegolezzi rosa (la relazione con la ex moglie di Rupert Murdoch) e dalle rivelazioni sui rapporti con i dittatori asiatici e arabi. Paradossalmente, l’uomo che era riuscito a vincere per tre volte le elezioni, dopo l’era di Margaret Thatcher, riportando i laburisti a Downing Street, è stato ed è, in questi tempi, più rispettato dai moderati conservatori che non dai suoi compagni di percorso nel centrosinistra. Ieri, l’ex premier, ha rimesso piede nell’arena con lo stile, la forza, l’intelligenza che non lo hanno mai abbandonato. È andato nel suo vecchio collegio di Sedgefield e in un colpo solo ha sbugiardato chi nelle scorse settimane aveva scritto dell’imminente divorzio dalla moglie Cherie (che gli era al fianco) e chi lo aveva visto sull’orlo della rottura con Ed Miliband, il pretendente laburista alla poltrona di primo ministro. Blair ha compiuto un capolavoro perché il suo appassionato discorso lo ha centrato sull’Europa, sul pericolo del referendum evocato dai tory e da David Cameron, sull’isolamento internazionale che ne deriverebbe, sulla «cappa di incertezza che aleggerebbe sull’economia del Regno Unito, congelando gli investimenti, lasciando il Paese in uno stato di incertezza pericolosa». Tony Blair ha evitato accuratamente di polemizzare con l’attuale leadership laburista anche se in un passaggio ha tenuto a rimarcare la sua distanza politica da Miliband: «È un uomo libero, con le sue convinzioni, determinato a seguirle anche quando vanno controcorrente. Lo rispetto». Ha scelto di aiutarlo sottolineando semmai ciò che li unisce, restando sul terreno comune dell’Europa, puntando su un tema che vede convergere anche il mondo del business, archiviando i rancori passati e recenti fra la destra e la sinistra del partito, dimenticando che Ed Miliband nel recente dibattito televisivo ha preferito glissare sdegnato sui ricordi, le virtù, i vizi, gli errori del New Labour blairiano.
Quello del 7 maggio è un voto incertissimo, i due partiti maggiori sono alla pari. L’uscita di Tony Blair ha un significato preciso: è più indirizzata a tranquillizzare e catturare gli elettori di centro, i cauti simpatizzanti dei conservatori e dei liberaldemocratici, che non a galvanizzare i militanti laburisti. Mossa importante con benefici possibili. Ma anche con costi imprevedibili (consensi che possono svanire): per la sinistra laburista, Blair resta un avversario. Forse un nemico. Il suo peso, però, può riaccompagnarli alla guida del governo.
No al referendum Appassionato discorso contro il referendum ventilato da Cameron Con lui la moglie Cherie
@fcavalera