L’EUROPA LONTANA DEI DIRITTI UMANI
al Parlamento. Senza dire degli interventi firmati da altri giudici europei: per esempio dalla Corte di giustizia, che nell’aprile 2011 bocciò sonoramente il reato di clandestinità, introdotto due anni prima nel «pacchetto sicurezza». O senza citare i moniti dettati dallo stesso Parlamento dell’Unione: nel luglio 2001 si pronunziò a favore del rientro dei Savoia, in nome della libertà di circolazione.
Diciamolo: non va affatto bene. Le nostre orecchie rosse sono anche orecchie d’asino e per sovrapprezzo a bocciarci è un giudice straniero. Inoltre la bocciatura costa, in quattrini oltre che in reputazione. E le sentenze della Corte di Strasburgo sono direttamente vincolanti per gli Stati. Noi invece, per lo più, preferiamo svicolare. Oppure le traduciamo in chiacchiere di carta, usando la carta delle Gazzette ufficiali. Per esempio rispetto alla ragionevole durata dei processi: nel 1999 l’abbiamo iscritta nell’art. 111 della Costituzione, ma l’anno dopo il tempo medio dei giudizi penali è lievitato da 1451 a 1490 giorni. O altrimenti rispetto al sovraffollamento nelle carceri: una leggina addosso all’altra, però ospitiamo ancora 4.000 detenuti di troppo.
E la tortura, che ci ha fatto guadagnare l’ultima medaglia? Nel 1955 abbiamo ratificato la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (che ne prescrive il divieto), nel 1988 la Convenzione contro la tortura. Ma ogni ratifica rimane per aria, come un prosciutto appeso al soffitto. Papa Francesco ha introdotto nuove figure criminose per contrastare il genocidio e l’apartheid, noi ci teniamo sul groppone il codice Rocco del 1930, firmato dal Guardasigilli di Benito Mussolini. Intanto il reato di tortura giace da due anni in Parlamento e forse è pure meglio che riposi in pace. Venne già risvegliato il 22 aprile 2004, quando la Camera approvò un emendamento della Lega Nord. Con quali contenuti? Stabilendo che è vietato torturare per due volte, ma una volta sola no.
Da qui la conclusione: diamoci una mossa. Il nostro ritardo sul fronte dei diritti non è certo colpa del governo in carica; prima di Renzi ritardava Letta, e Monti, e Berlusconi. Però l’esecutivo Renzi marcia con passo da bersagliere e tutti gli italiani dietro col fiatone. Ecco, se il bersaglio del bersagliere diventassero i diritti civili, saremmo tutti più contenti di sudare.