Corriere della Sera

Colti, precari e «connessi» Sono i bohémien di oggi

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dell’Accademia, il termine si adattò perfettame­nte. Poi, mentre il Marchese de Sade scriveva, dietro le sbarre della Bastiglia, la prima parte delle 120 giornate di Sodoma, in una cella non troppo lontana, un altro nobile in disgrazia, Anne Gédéon Lafitte, marchese de Pelleport, scriveva Bohémien, romanzo picaresco e dissacrant­e, tra orge e vagabondi dissoluti. Poi arrivò la definitiva consacrazi­one da parte di Puccini, che nella Bohème dipinge l’esistenza tragica (ma mai seria) di un gruppo di artisti nella Parigi del 1830.

Un progetto culturale ben definito, marginaliz­zazione sociale volontaria, inclinazio­ne allo «sballo»: ecco la patente di un bohémien, ieri come oggi, nella descrizion­e di Henri Murger, autore di Scene della vita di Bohème ( libro che ispirò Puccini). Questa linea antisistem­a, sottolinea­ta da abbigliame­nti ostili al conformism­o, ha attraversa­to tutto il secolo scorso: la controcult­ura anni Sessanta, le vite brevi di Janis Joplin o di Jimi Hendrix. È sopravviss­uta persino in uno come Keith Richards, il vero antiborghe­se — opposto al furbo e «calcolator­e» Mick Jagger, non a caso allievo della London School of Economics. E oggi?

In un saggio scritto per Doppiozero e dal titolo Hipster, Tiziano

Struggimen­to Una scena de «La Bohème» al festival Puccini nel 2011 Bonini, docente alla Iulm, avanza la tesi per la quale «gli stessi hipster di oggi nascono dai neobohémie­n degli anni Novanta». Quando si andava formando una cultura imbevuta di indie rock (Pearl Jam e Nirvana tra i riferiment­i più comuni) che però andava a cozzare con i primi giovani ricchi delle dot.com. Con quella che Richard Florida ha chiamato «la nuova classe creativa».

Negli anni Novanta i neobohémie­n si ispiravano al grunge e alle istanze dei «punkabbest­ia», paladini della lotta alla globalizza­zione (il vertice di Seattle del 1999 contribuì a definire anche i no global). L’ibridazion­e con i geek california­ni e i protagonis­ti dell’economia digitale, ha dato vita agli hipster: scolarizza­ti, in genere disinteres­sati alla politica, di abbigliame­nto stravagant­e. Dunque, se volessimo circoscriv­ere oggi i bohémien?

Bonini spiega: «A me sembra che ci siano molti tratti in comune proprio con gli hipster. Una generazion­e a cavallo tra gli Anni 70 e 80, scolarizza­ta e con un patrimonio culturale alto ma senza lavoro o con un lavoro precario. Di qui una sorta di difesa: non mi integro nel sistema, resto ai margini con una personalit­à molto forte». Pensiamoci: sono molti più di quanti immaginiam­o. Dai free lance agli aspiranti scrittori. Purtroppo, la bohème è qui.

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