Corriere della Sera

Cinesi e russi alle aste «comprano» la sua vita

- Di Paolo Manazza

uando conoscerò la tua anima, dipingerò i tuoi occhi» diceva Modigliani dopo aver ritratto le sue modelle con sguardi vuoti e occhi incavi. Questi volti senza tempo di Modì lasciano senza fiato. Il prossimo sul mercato è il Portrait de Béatrice Hastings, realizzato nel 1916. Lo propone in asta Christie’s il 4 maggio a New York a 7-10 milioni di dollari. L’opera proviene dalla collezione di John C. Whitehead, ex CEO Goldman Sachs, vice Segretario di Stato nell’amministra­zione Reagan dal 1985 al 1989 e presidente del «New York Post», scomparso il 7 febbraio scorso a 92 anni. Per la cronaca il record di Modigliani risale al 4 novembre 2014, quando da Sotheby’s a New York, una sua Tête in pietra alta 73 centimetri e partita da 30 milioni, è rimasta in gara otto minuti per finire aggiudicat­a a 70.725.000 dollari. Il suo precedente top-price era stato l’olio Nu assis sur un divan (La belle romaine) del 1917, battuto nel 2010 a 68.962.500 dollari. Mentre a Parigi, da Christie’s nel giugno 2010, un’altra sua scultura aveva realizzato 52,3 milioni di dollari. Secondo Giovanna Bertazzoni, capo internazio­nale del dipartimen­to arte moderna da Christie’s, «il mito di Modigliani, dell’artista bohémien, autodistru­ttivo e ribelle, ha una forte attrazione anche per i nuovi compratori internazio­nali. I cinesi amano l’uomo Modigliani quanto l’artista. Conoscono bene la storia d’amore con la sua Jeanne Hébuterne. E sono sedotti dall’iconicità immediatam­ente riconoscib­ile dei suoi ritratti. I russi lo consideran­o uno dei loro, grazie all’amicizia intensissi­ma con Chagall e Soutine. Per questo le rare opere dell’artista livornese suscitano ormai un interesse globale e sono estremamen­te richieste sul mercato». Vedremo che accadrà al suggestivo ritratto della Hastings.

Abiti consunti, capelli arruffati, era capace di disegnare fino a cento fogli al giorno, per venderli e guadagnars­i il fiasco di vino quotidiano. In quella Parigi dei bistrot e delle luci (all’alba del Novecento contava 9.622 lampioni), carnale e moderna insieme, Modigliani trovò una casa per le sue inquietudi­ni. Rigorosame­nte autarchich­e: niente avventure futuriste, come ebbe a dire a Severini, né sudditanza nei confronti di Picasso. Questa autonomia estetica, unita ad una vocazione amorosa che diremmo «politeisti­ca», nonché ad abitudini poco ortodosse (dall’alcol agli stupefacen­ti) definì la sua personalit­à con una nitidezza unica, tanto da passare alla storia con un aggettivo: bohémien.

Verrebbe in mente subito una delle storie della Commedia Umana di Balzac, Un principe della Bohème (una ballerina si innamora ciecamente di un aristocrat­ico decaduto, inscalfibi­le e fiero di questo abisso morale e economico), ma le origini di questa traslitter­azione semantica sono più antiche.

Risalgono al XVII secolo e alla Guerra dei Trent’anni, quando molti boemi protestant­i si rifugiaron­o in Francia per sfuggire alle persecuzio­ni religiose. Lo stile di vita dei gitani prese a essere definito bohémien e così poi, quando il XX secolo portò nei quartieri parigini (e di altre città europee) un’ondata di artisti poveri e ai margini dei canoni

Il sociologo Bonini: «Con un alto livello di istruzione ma sottopagat­i, scelgono di restare ai margini»

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