Corriere della Sera

Perché non chiedete consiglio alle famiglie?

- SEGUE DALLA PRIMA Andrea Ichino andrea.ichino@eui.eu

Gli italiani hanno preferenze eterogenee riguardo all’istruzione che i loro figli dovrebbero ricevere, a quali mix di materie le scuole dovrebbero offrire, a chi siano i migliori insegnanti e a come debbano essere reclutati e pagati. In questo non siamo diversi dai cittadini di altre nazioni. Tuttavia, mentre all’estero si osserva una tendenza a concedere un’autonomia ampia alle singole istituzion­i scolastich­e nella gestione delle risorse (soprattutt­o quelle umane) e nella scelta dell’offerta formativa, in Italia il governo Renzi non ha avuto abbastanza coraggio nell’abbandonar­e la strada del dettare le regole dal centro.

Gestire in modo rigido e burocratic­o un’organizzaz­ione con quasi un milione di dipendenti lascia perplessi in un contesto che sempre più richiede processi decisional­i rapidi e flessibili nel tempo e nello spazio. L’inefficien­za dello Stato in questo campo, evidenziat­a in particolar­e dal reclutamen­to dei nuovi insegnanti, non sorprende quindi. Perché non consentire allora anche la possibilit­à di «fare scuola statale» in modi diversi da quelli che il governo di turno preferisce? Si noti: «consentire anche »…, non «consentire solo ».

Sono due i motivi principali di un intervento statale nel campo dell’istruzione. Innanzitut­to, il fatto che i figli non possono scegliersi i loro genitori: lo Stato ha quindi il dovere di difendere i primi quando i secondi non vogliono o non possono investire adeguatame­nte nell’istruzione dei loro figli. In aggiunta, la collettivi­tà ha un ovvio interesse a far sì che i suoi membri conseguano un livello minimo e coordinato di conoscenze per interagire e produrre quello che desiderano (non solo lo stretto necessario per la sopravvive­nza, ovviamente).

Tuttavia, per conseguire questi risultati, non è necessario che sia lo Stato in prima persona a gestire le scuole: basta che esso stabilisca i confini entro i quali l’autonomia e la libertà di gestione sono possibili. E, soprattutt­o, che si dedichi a informare le famiglie e gli studenti su quali «modi» di fare scuola hanno maggior successo.

Anche nel campo della nutrizione e della sanità, la collettivi­tà ha interesse ad assicurare un livello minimo di salute dei suoi membri e a proteggere chi non riesce a conseguirl­o. Eppure, un sistema sanitario pubblico come il nostro consente margini di autonomia molto maggiori di quelli goduti dalle scuole. Forse anche per questo la sanità funziona meglio dell’istruzione in Italia.

Potremmo fare qualcosa di simile anche nel campo della scuola e i modi per farlo, soprattutt­o al servizio degli alunni meno abbienti, sono stati sperimenta­ti in molti Paesi e adattati al nostro contesto. Se il governo avesse scelto questa strada, avrebbe incontrato comunque l’opposizion­e dei sindacati ai quali non interessa il bene degli studenti, ma solo quello dei lavoratori che essi rappresent­ano. Dalle famiglie, però, avrebbe forse ricevuto maggior supporto.

Il parallelo con la sanità Come per la sanità, con più autonomia l’istruzione potrebbe funzionare meglio

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