I francesi lasciano, la Curia al 100% dei cancelli Faac
(c.tur.) Il contratto è stato firmato nel pomeriggio di ieri a Milano, presso lo studio notarile Marchetti, dai rappresentanti del gruppo francese Somfy e da Andrea Moschetti, presidente della Faac di Bologna su incarico della diocesi vescovile, entrata in possesso del 66% dell’azienda di porte e cancelli automatici - nell’ambito di una eredità valutata 1,7 miliardi, per lascito dell’imprenditore Michelangelo Manini, deceduto dopo una lunga malattia tre anni fa. L’accordo firmato ieri sancisce il divorzio consensuale tra Somfy e la Faac, sciogliendo un legame incrociato che data da 25 anni, e porta la curia felsinea al 100% del capitale. In concreto il gruppo quotato a Parigi, la cui proprietà fa riferimento a Georges Despature, esercita il recesso vendendo il suo 34% della Faac alla stessa azienda con sede a Zola Pedrosa, che poi annullerà le azioni proprie. In cambio gli italiani vendono il loro 7,3% di Somfy (8,5% i diritti di voto) alla stessa società francese, che li acquista come azioni proprie, oltre a versare un conguaglio di 50,7 milioni. L’accordo di divorzio vale in tutto 170 milioni e include anche la cessione, da parte di Faac, del 7,7% della Darmatex, azionda di maglieria scissa anni addietro da Somfy. Dopo la morte di Manini, i francesi avevano tentato a più riprese di inglobare la Faac ma l’arcidiocesi retta dal cardinale Carlo Caffarra ( foto) non ha cambiato idea. Neanche di fronte a valutazioni prossime a un miliardo per il 100%. Adesso la presa d’atto di Somfy, che ha preferito uscire, con un accordo negoziato dallo studio legale Gattai Minoli Agostinelli (per il socio di maggioranza) e Chiomenti per i transalpini. Sciolto il nodo, l’ad Andrea Marcellan potrà riprendere lo sviluppo della Faac che ha chiuso l’ultimo anno con 330 milioni di ricavi, 50 di ebitda e 100i milioni in cassa.
Tirreno Power, firmato l’accordo da 890 milioni con le banche
(c.tur.) Accordo fatto per la ristrutturazione del debito di Tirreno Power. Il «term sheet», in pratica un contratto preliminare ma vincolante, è stato firmato ieri dalle dieci banche creditrici capitanate da Unicredit e Bnp Paribas e dagli azionisti con il 50% a testa Engie - nuovo nome di Gdf Suez - ed Energie italiane, quest’ultima controllata da Sorgenia con le partecipazioni di Hera e Iren. L’intesa sulla ex-genco dell’Enel, in sofferenza per il calo di ricavi e margini delle centrali a gas, riguarda un’esposizione di 890 milioni che vede coinvolte anche Intesa Sanpaolo, Ing, Cdp, Mediobanca, Mps, WestLb e Agricole. Circa 290 milioni verranno convertiti in strumenti partecipativi, altri 250 milioni trasformati in un bond convertendo e il residuo di 350 milioni riscadenziato fino al 2024. Quanto ai due soci, si sono impegnati a versare un aumento di capitale di 100 milioni (per circa due terzi sotto forma di rinunce di crediti). Oggi il consiglio di Tirreno Power ratificherà l’intesa, che poi andrà agli organi deliberanti delle banche. Si conta di firmare il contratto definitivo entro fine giugno e, nel frattempo, verranno attivate tutte le procedure per la presentazione al tribunale dell’accordo di ristrutturazione ex articolo 182 bis con la perizia di asseverazione del piano da parte del commercialista Enrico Laghi.