L’affollata solitudine dello Zar Gentiloni e la scelta italiana: «Giusto e doveroso esserci»
Sovietica sotto Leonid Breznev. È il signore dell’impero di mezzo l’unico, vero fregio da capo di una Superpotenza che Vladimir Vladimirovich può ostentare. Un fregio, quello cinese, del quale probabilmente Putin farebbe volentieri a meno. Il resto degli ospiti, tranne sparute e relative eccezioni come l’indiano Modi, il sudafricano Zuma e il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, compone, con tutto il rispetto, una schiera di comprimari.
Quelle dei leader occidentali, da Obama a Hollande, da Cameron a Renzi, sono assenze che fanno male, fotografando l’isolamento della Russia nella prima fila della scena internazionale. Ma allo stesso tempo offrono al presidente russo nuovi argomenti e nuovi teoremi al suo racconto di un Paese assediato da nemici, che non lo rispettano e desiderano solo vederlo in ginocchio.
Eppure, anche nella retorica del giorno in cui celebra il popolo che «liberò le nazioni europee dal nazismo», Putin trova parole generose verso chi gli ha quasi rovinato la festa: «Siamo grati ai popoli di Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti per il loro contributo alla vittoria. E ringraziamo gli antifascisti di vari Paesi che lottarono contro il nemico come guerriglieri e partigiani, anche in Germania».
Nel breve discorso che precede la più grande parata militare a memoria d’uomo, lo Zar ha un solo fremito d’ira, appena dissimulato: «Negli ultimi decenni, abbiamo visto tentativi di creare un mondo unipolare. I principi basilari della cooperazione internazionale sono stati ignorati». Ha fatto un errore, l’Occidente, a lasciarlo da solo in una data così cruciale per la storia dell’Europa e del mondo, come ha sostenuto Silvio Berlusconi in una lettera al nostro giornale?
Unico ministro degli Esteri del G7 insieme al francese Laurent Fabius presente a Mosca, Paolo Gentiloni risponde indirettamente all’ex presidente del Consiglio. Il capo della Farnesina arriva in mattinata e non assiste alla parata militare, ma è presente alla deposizione dei fiori al monumento al mili- Paolo Gentiloni (in alto) è l’unico ministro degli Esteri del G7 insieme al francese Laurent Fabius (in basso) giunto a Mosca. Il capo della Farnesina non ha assistito alla parata militare ma è stato presente alla deposizione di fiori sulla tomba del milite Ignoto 1945-2015: Vittoria. La scritta che riassume il senso della celebrazione: la Grande guerra patriottica mito fondatore e unificante della nazione russa moderna. E allo stesso modo l’uso strumentale della vittoria sul nazismo per mettere tra parentesi la sconfitta della Guerra fredda e rivendicare il ruolo di grande potenza te ignoto: «Era giusto e doveroso per l’Italia esserci per onorare la memoria dell’impegno della Russia, visto il suo contributo nella guerra di liberazione dell’Europa dal nazifascismo, in termini militari e di vittime, con oltre 20 milioni di morti. Al tempo stesso però era giusto che le forme della partecipazione tenessero conto di quanto accaduto: l’annessione della Crimea, che rimane inaccettabile, le pressioni sull’Ucraina».
Così il nostro Paese fa un gesto che «non cancella la Storia, ma tiene il punto politico». Quindi, conclude Gentiloni, «la discussione sulle assenze non ha motivo di esistere poiché la nostra presenza è significativa «Errore» La lettera di Silvio Berlusconi sul «Corriere della Sera» di ieri fi Quanto allall scelta diversa della cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha ritardato di un giorno l’arrivo a Mosca e oggi insieme a Putin renderà omaggio ai caduti, il ministro si limita a definirla «legittima».
Resta l’affollata solitudine dello Zar, l’inutile affronto di un Occidente che ha finito per punire la memoria, cioè l’identità profonda di un Paese, il rischio che le assenze dei suoi leader principali finiscano per convincere erroneamente Vladimir Putin che Zar Alessandro avesse proprio ragione.