Il debito sul burro di Gheddafi scatena la caccia ai titoli libici
La Inalpi degli Invernizzi tenta il sequestro dei dividendi Unicredit
Quattro condizioni per firmare l’intesa sulla Franco Tosi di Legnano. La Fiom-Cgil, dopo il referendum dello scorso 27 aprile con cui i lavoratori avevano bocciato l’offerta della Buno Presezzi per rilevare l’azienda metalmeccanica, si dice pronta a firmare l’accordo prima del fallimento, il prossimo 29 giugno. Tra i motivi per cui era saltata l’intesa lo scorso mese c’era il contratto a tutele crescenti: la riassunzione dei 170 addetti della Tosi era stata garantita ma senza la continuità dell’attuale contratto, come invece voleva la Fiom. Ora il sindacato torna a trattare ma a quattro condizioni: un piano industriale quinquennale e mantenimento della sede a Legnano, assunzioni senza periodo di prova e anzianità convenzionale, tutele per i lavoratori rimanenti in procedura di amministrazione straordinaria e clausola di garanzia per i lavoratori pensionabili entro il 2017 in caso di intervenuti peggioramenti legislativi.
Gli Invernizzi si portano dietro dal 2001 nei bilanci dell’Inalpi, senza mai svalutarlo, il credito originario con Tripoli: 3 milioni (poi lievitati a 5). Poca roba, tutto sommato, per i conti di un’azienda che ha una struttura patrimoniale solida e un fatturato intorno ai 120 milioni cui contribuisce principalmente la vendita di latte in polvere (con un grande cliente come Ferrero) e poi burro e formaggi (fettine di latte) di uso quotidiano.
Poco ma non mollano. La partita di burro consegnata anni fa nei porti di Tripoli e Misurata non è stata ancora pagata. Il committente era la General Dairies and Products company (Gdp), creata dal governo di Tripoli negli anni 70 per centralizzare l’importazione e commercializzazione dei prodotti lattiero-caseari. Partecipando ai bandi l’Inalpi si era aggiudica una fornitura molto rilevante: 7-8 milioni annui di burro, sia per uso comune che come base per fare il latte. «Era previsto e regolarmente fatturato — dice Ambrogio Invernizzi, uno dei fratelli alla guida dell’azienda — anche un 10% all’intermediario libico attraverso una società svizzera». A un certo punto (siamo nel 2001) l’intermediario sparisce, «arrestato, ci dicono, indicandoci un conto svizzero dove pagare il 10%». Ma senza annullare il contratto precedente. La “pratica” ai tempi di Gheddafi era talmente diffusa che in Svizzera ci sarebbero tuttora conti ricchissimi, in parte «orfani», alimentati con le «creste» di Stato. Gli Invernizzi non ci stanno a pagare un ulteriore 10% in Svizzera. Vengono convocati a Tripoli, in un clima tutt’altro che sereno. Annusata l’aria ripartono dopo poche ore. E da lì comincia la battaglia legale per ottenere il corrispettivo dell’ultima fornitura. A oltre dieci anni dai fatti, nel 2013 il tribunale di Saluzzo (Cuneo) con una sentenza passata in giudicato condanna la Gdp a pagare l’Inalpi. Il problema è che la società libica