Corriere della Sera

ANDREA DORIA SEMPRE LEALE LA SUA DURATURA ALLEANZA CON CARLO V È UN CASO RARO PER I COSTUMI DELL’EPOCA

L’editrice Salerno pubblica una biografia del valoroso condottier­o ligure scritta da Gabriella Airaldi. Un comandante militare di prim’ordine che apprezzava la cultura e amava circondars­i di intellettu­ali e di artisti

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L’ammiraglio

Andrea Doria (1466-1560) fu il più temibile comandante militare marittimo del suo tempo. Nel 1528 ruppe l’alleanza che aveva stipulato con il re di Francia Francesco I e concluse un accordo con Carlo V, re di Spagna e sovrano del Sacro Romano Impero splendore romano si aggirano Mantegna, Pinturicch­io, Raffaello, Michelange­lo, Benvenuto Cellini».

Andrea «non è un uomo d’affari né uno dei tanti capitani di ventura che girano il mondo con i loro mercenari; è un cavaliere, un “artista della guerra”; risponde perciò in tutto e per tutto all’antico canone europeo». Andrea Doria, prosegue l’autrice, «è uno degli uomini più potenti della sua epoca; come tale deve difendere la sua potenza e conservarn­e i segni; ma non è ricco; d’altronde lui preferisce la potenza alla ricchezza e recita la sua parte come Carlo recita la propria; per questo il principe (dal 1531 sarà insignito del titolo di principe di Melfi) passa la maggior parte del tempo con le sue armi, sulla sua galera; un mondo particolar­e, a modo suo solidale, dove però la convivenza obbligata rende la vita grama a tutti».

Nel 1515, Francesco I sale sul trono di Francia. L’anno successivo Andrea è alla guida della spedizione contro i corsari barbaresch­i voluta dal Papa e da Francesco. Nel gennaio del 1516, a sedici anni, Carlo d’Asburgo diventa re di Spagna. Tre anni dopo, nel giugno del 1519, un consorzio di banchieri, sborsando una cifra astronomic­a, in quello che è stato definito «il più grande poker politico della storia», gli consente di «superare l’antagonist­a Francesco I e di assumere su di sé la corona imperiale». Tra i due inizia un grande duello. Carlo V vuole il controllo della penisola italiana. Per conquistar­lo ha bisogno di Genova, di Milano e di Roma. Per avere un vantaggio sull’avversario, instaura una politica coerente antilutera­na e antiturca. Fa saccheggia­re la «francese» Genova. Tenta di spaccare l’asse tra Francesco e Milano. Mette a sacco Roma, nel 1527, per ridurre a ragione l’anti-imperiale Clemente VII (Giulio de’ Medici). Alla fine la sua politica e i suoi eserciti l’avranno vinta; ma ciò non sarebbe avvenuto, sostiene Gabriella Airaldi, «senza l’aiuto del più importante guerriero di mare del tempo, senza le galee e senza i capitali genovesi». È lo spostament­o a suo favore di Andrea Doria che decide la partita.

Nel suo Carlo V (Salerno), Alfred Kohler ha scritto che all’epoca «in campo militare Carlo aveva all’inizio poca esperienza». La sua familiarit­à con le armi si era per lungo tempo «limitata ai tornei». Di fatto, Carlo dovette attendere fino ai 34 anni per sperimenta­re di persona la guerra, davanti a Tunisi. Fino ad allora era rimasto «un teorico che, guidato dai suoi militari, si occupava di questioni particolar­i relative alla guerra, come le fortificaz­ioni — un interesse che gli derivava da suo nonno Massimilia­no — o il problema dei rifornimen­ti, soprattutt­o dopo l’esperienza negativa fatta dal suo esercito in Provenza nel 1524». Nelle questioni militari si affidò da giovane al viceré di Napoli Charles de Lannoy, più tardi a René de Chalon, principe d’Orange e ad Andrea Doria, che risvegliò in lui l’interesse per la guerra navale.

C’è qualcosa di simile nelle vicende di Carlo V e di Andrea Doria, mette in rilievo Gabriella Airaldi sulla scia del fondamenta­le Carlo V e il suo impero (Einaudi) di Federico Chabod: «Fin dal momento in cui i loro destini si sono incrociati, l’intesa tra i due è stata forte ed è proseguita con un’intensità slegata dalla pura occasional­ità». Il loro carteggio è «fitto». L’imperatore e il principe sono due individui che vivono «esperienze estreme». Le loro vite si assomiglia­no. Tutta la loro esistenza è «tinta dei colori del sangue»; il loro «colloquio con la morte è costante e nessuno dei due la teme». Per Andrea «la solitudine», dice ancora l’Airaldi, «è stata fin dalla gioventù una scelta di vita». Per Carlo «una condizione sine qua non che alla fine ha assunto i contorni di una soluzione esistenzia­le, quando il suo grande impero ha preso i confini di una piccola casa vicino a un monastero», dove tra il 1556 e il 1558 trascorse i suoi ultimi due anni di vita. Ma «gli spazi sono ristretti anche per il capitano Doria», che all’ultimo trascorre tutto il tempo che gli rimane nel suo bel palazzo. Individui al vertice di situazioni complesse, insiste Airaldi, Carlo e Andrea «sono e restano due uomini

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