Corriere della Sera

LA VALANGA CHE ANDAVA EVITATA

- Di Sabino Cassese

Il governo ha dunque riconosciu­to a 3 milioni e 700 mila pensionati (quelli che godono di trattament­i da tre a sei volte il minimo) una rivalutazi­one di ammontare diverso, a favore delle pensioni più basse (40, 20 e 10 per cento) per gli anni 2012 e 2013. Contempora­neamente, ha stabilito una indicizzaz­ione delle pensioni del 20 per cento per il 2014-2015 e del 50 per cento dal 2016. Ha indicizzat­o così l’importo complessiv­o di tutti i trattament­i pensionist­ici di cui ciascuno gode, inclusivi degli eventuali assegni vitalizi. Ed ha fatto ciò con tempismo, senza aspettare momenti più propizi, e con atteggiame­nto di riguardo e cooperativ­o nei confronti della Corte costituzio­nale, nonostante che la sua sentenza non sia risultata gradita, giungendo anzi come un fulmine a ciel sereno.

Si spera che questa soluzione metta a tacere le interpreta­zioni estremisti­che, quelle di chi vorrebbe la «restituzio­ne di tutto». La Corte, infatti, lamentava che non vi fosse «alcuna rivalutazi­one», con il «blocco integrale» della perequazio­ne disposto nel 2011. Consentiva che le attese dei pensionati venissero bilanciate con le esigenze di contenimen­to della spesa. Dichiarava irragionev­ole il blocco, non dichiarava ragionevol­e la rivalutazi­one disposta nel 1998. La Corte non poteva dire di più, sancendo una sorta di intangibil­ità del modo di rivalutare le pensioni scelto nel 1998 e bloccato nel 2011 — come vorrebbero i sostenitor­i della tesi del «rimborso totale» — perché l’articolo 38 della Costituzio­ne dispone che i lavoratori hanno diritto a vedersi assicurati mezzi «adeguati alle esigenze di vita», e giudice dell’adeguatezz­a è il Parlamento.

Il Parlamento è tenuto solo a rispettare i principi di ragionevol­ezza e proporzion­alità. Si lamenterà che quella decisa dal governo non è una rivalutazi­one al cento per cento e che chi gode di pensioni superiori a sei volte il minimo non avrà rivalutazi­one. Ma la Costituzio­ne dispone che siano assicurati «mezzi adeguati», non che questi vadano necessaria­mente dati con una piena rivalutazi­one. Ed è difficile sostenere che coloro che godono di pensioni superiori di sei volte il minimo non abbiano mezzi adeguati alle esigenze di vita. Questo intervento equitativo del governo chiude un triste capitolo della vicenda pensionist­ica. Mentre l’equilibrio finanziari­o è tanto precario e voci autorevoli­ssime come quella di Maurizio Ferrera predicano da anni che il welfare italiano dà troppo agli anziani e troppo poco ai giovani (infatti, il decreto legge mira anche alla «salvaguard­ia della solidariet­à intergener­azionale»), lo scivolone della Corte, dimentica per un momento delle sue proprie responsabi­lità di tutore dell’art. 81 della Costituzio­ne, avrebbe potuto innescare una valanga rovinosa non solo per l’economia italiana, ma anche per gli stessi pensionati.

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