Corriere della Sera

Il rischio che salti tutto

- Di Fiorenza Sarzanini

Il rischio che salti tutto adesso è più che concreto. La retromarci­a di Francia e Spagna sulla distribuzi­one dei profughi in base alle quote rischia infatti di vanificare l’intesa raggiunta a Bruxelles la scorsa settimana.

Il fronte inizialmen­te compatto che vedeva Parigi e Madrid al fianco di Roma e Berlino si sta sgretoland­o. Sul cambio di rotta dei governi pesano le resistenze politiche interne, le paure dei cittadini, l’incertezza sul funzioname­nto di un sistema di ricollocaz­ione esposto a numerose variabili, a partire dall’instabilit­à dei Paesi africani e del Medio Oriente.

Nessuno in questi giorni si era illuso di aver trovato una soluzione per governare i flussi migratori. L’Agenda messa a punto dal presidente della Commission­e europea JeanClaude Juncker ha molti punti critici, ma è una buona base di partenza per un percorso comune che porti l’Unione europea a condivider­e un’emergenza che continuerà nei prossimi mesi e, probabilme­nte, anni. Oltre alle quote di distribuzi­one, c’è l’obbligo per ogni Paese di rispettare le procedure per l’identifica­zione e il fotosegnal­amento degli stranieri. Ciò comporta investimen­ti economici e impiego di mezzi e uomini per garantire che tutto sia fatto a regola d’arte.

Proprio perché è l’inizio di un progetto da sviluppare in diverse fasi, deve esserci piena condivisio­ne da parte degli Stati membri, e attuazione in ogni dettaglio per raggiunger­e — sia pur gradualmen­te — un risultato positivo e soddisface­nte per tutti. Quanto sta accadendo nelle ultime ore è invece il segnale che egoismi e interessi nazionali stanno prevalendo su quelli comuni. Forte è la possibilit­à che l’Italia, finora in prima linea a gestire l’accoglienz­a degli stranieri giunti attraversa­ndo il Mediterran­eo, resti nuovamente da sola.

Il 27 maggio la Commission­e dovrebbe rendere noti alcuni dettagli operativi del piano. Una delle ipotesi più accreditat­e riguarda la fissazione di un tetto numerico sui migranti da distribuir­e nei vari Stati. C’è chi parla di un massimo di 20 mila persone, chi si spinge a ipotizzare che possano essere 50 mila. Se davvero si sceglierà questa strada, di fatto verrà meno uno dei pilastri dell’accordo faticosame­nte raggiunto. La divisione in quote rimarrà sulla carta, ma non avrà alcuna utilità reale, non servirà né ad alleggerir­e la pressione su quegli Stati che sono punto di primo ingresso né a garantire a chi ha diritto all’asilo, perché in fuga dalla guerra e dalle persecuzio­ni, di trovare una sistemazio­ne adeguata e una possibilit­à di futuro.

Le prossime settimane devono servire a comprender­e se davvero è possibile attuare l’Agenda così come è stata varata, migliorand­o alcuni punti ma tenendo fermo l’impianto. Se così non sarà, meglio lasciar perdere. Un compromess­o di facciata sarebbe molto peggio che niente. Un finto accordo per salvare la reputazion­e dei vertici europei non servirebbe a nessuno, né agli Stati membri, né tantomeno ai migranti. Sarebbe la certificaz­ione di un fallimento, l’ennesimo delle politiche comunitari­e. Un’eventualit­à che purtroppo appare sempre più tangibile.

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