Il monito di Mattarella: «No a soluzioni militari»
Il presidente in visita a Tunisi: i flussi di migranti dramma senza precedenti, tutta l’Ue deve farsene carico
TUNISI Una missione armata fra Tripoli e Tobruk?
È importante che si eviti l’opzione estrema, perché si è visto quali incognite si aprono da queste parti quando tuonano le bombe. Glielo dicono così, senza velature diplomatiche, ed è un richiamo inutile per lui, tanto è vero che si è già espresso diverse volte proprio nello stesso modo. Così il presidente della Repubblica, giunto a Tunisi per una visita cui tiene molto, non esita a spiegare che non si farà nulla di militarmente devastante in Libia, e comunque nulla senza l’assenso dei padroni di casa. Stavolta lo ripete in chiave più netta. «L’Italia, come la Tunisia, è convinta che non vi possa essere una soluzione militare alla crisi e che sia invece urgente raggiungere in tempi brevi, e grazie alla mediazione del rappresentante Onu Bernardino León, un compromesso politico che consenta la nascita di un governo di unità nazionale».
Nessun massiccio intervento sul terreno, dunque. Nessuna mobilitazione di truppe su larga scala né ricorso ai bombardamenti ipotizzati da qualcuno per risolvere il problema libico nella maniera più drastica, ma anche più pericolosamente carica di effetti collaterali. Insomma, promette, nessuna guerra. Semmai brevi e mirate incursioni lungo le coste. Azioni di polizia coordinate da un’intelligence plurale, per eliminare le imbarcazioni con cui i trafficanti stanno trasformando il Sud del Mediterraneo in un «cimitero di profughi». Decisioni che i governi dovranno concordare dentro una cornice di legalità autorizzata da una risoluzione del Palazzo di Vetro. Mentre Sergio Mattarella prende il suo impegno «di fondo» a Cartagine, in un colloquio riservato con il collega Beji Caid Essebsi, il quale sa perfettamente che l’ospite ha un doppio titolo per parlare: quello di capo dello Stato e quello di capo del Consiglio supremo di difesa italiano.
Certo, la «speranza che le Nazioni confinanti, l’Ue e la comunità internazionale trovino gli strumenti per aiutare la Libia ad arrivare alla pacificazione» può sembrare un wishful thinking, un pio desiderio. Dopotutto, però, è questo il compito della politica. Un compito ineludibile oggi, pressati come siamo dal fanatismo dell’Isis che due mesi fa, proprio qui, ha dato una sanguinosa prova di forza al Museo del Bardo.
Tra un incontro e l’altro, all’insegna della solidarietà, Mattarella onora quei 23 morti — e quattro erano italiani — fermandosi in quei saloni e deponendo una corona sotto la stele con i loro nomi.
«La lotta contro il terrorismo unisce Tunisi e Roma in un patto di civiltà che accomuna ogni altro Stato che voglia la pace», dice. Frase alla quale il presidente Essebsi annuisce convinto. Del resto gli ha appena ricordato, assieme agli altri interlocutori locali, che «questo Paese è l’avamposto democratico più saldo» dell’area, dov’è stata fatta una rivoluzione «pacifica e senza vittime» e dov’è in corso una transizione cruciale che l’Italia segue da vicino e appoggia. Ecco perché, oltre che per una «storica e profonda amicizia», il nostro sostegno prende lo sbocco di un Memorandum d’intesa della cooperazione fino al 2016, che il capo dello Stato firma e cita nel solenne discorso al Parlamento.
E qui, quasi di rincalzo al governo, che a Bruxelles trova i primi scogli sulla ripartizione in quote dei migranti, Mattarella si lancia in un’esortazione esplicita, che toglie a tutti alibi e attenuanti. «I flussi che partono dalla Libia configurano un dramma umanitario senza precedenti di cui l’Europa deve farsi carico collettivamente, con senso di responsabilità, spirito di solidarietà e disponibilità all’accoglienza».
La lotta al terrorismo unisce Tunisi e Roma in un patto di civiltà che accomuna ogni Stato che voglia la pace