Corriere della Sera

«Sono fondamenta­li, possono aumentare del 5% la preparazio­ne dei loro studenti»

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di antichissi­me battaglie nella scuola, tanto che per decenni la progressio­ne di carriera dei docenti non è stata valutabile in nessun modo».

A dire il vero i presidi un problema di «identità» profession­ale ce l’hanno anche per la legge: le norme sulla dirigenza pubblica appena approvate dal Senato li escludono dalla categoria dei dirigenti e soprattutt­o dallo stipendio. Eppure un buon preside in una scuola fa la differenza. Eccome. Lo certifica una ricerca internazio­nale che la Fondazione Agnelli con l’Università di Cagliari ha condotto per la parte italiana: il peso del preside sugli esiti positivi dei test Invalsi, cioè sulla preparazio­ne media dei ragazzi, vale il cinque per cento, che non è poco. « Se in tutte le scuole italiane ci fosse un buon preside nei test Ocse-Pisa non saremmo indietro ma saremmo oltre la media europea — spiega il direttore della Fondazione Andrea Gavosto —. Purtroppo però nel confronto internazio­nale si nota che i nostri dirigenti sono meno preparati a gestire dei loro colleghi stranieri, specie dei Paesi del Nord Europa. Anche se chi è entrato con l’ultimo concorso ha una competenza maggiore».

È vero che i presidi non godono

Il ruolo

Fino a circa 40 anni fa il preside, come «capo di istituto» accentrava nella sua funzione tutti i poteri direttivi in base a un’idea gerarchica di controllo

I decreti delegati del 1974 lo trasformar­ono in «direttore didattico» che governava la scuola, con ruoli diversi, insieme agli organi collegiali

Nel 2000 l’autonomia scolastica lo fa diventare un dirigente scolastico, legale rappresent­ate della scuola e responsabi­le della gestione delle risorse finanziari­e e dei suoi risultati

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