È l’era dell’empatia Ma l’emozione diventi cultura
È, la nostra, l’età dell’empatia, come spiega de Waal, cioè quella in cui l’umanità va scoprendo i valori di sostenibilità, di rispetto per l’ambiente e le altre specie. È uno sguardo nuovo sul mondo che anche politici illuminati (o forse abili) sostengono. Un sentire che dovrebbe, in teoria, facilitare l’individuazione del confine che l’Homo sapiens deve tracciare in nome del rispetto dei diritti di tutti gli esseri viventi, animali e vegetali. Al momento infatti non siamo in grado o non siamo in accordo su come arginare l’ampia licenza che ci siamo arrogati sul Pianeta. E non lo siamo per un difetto di conoscenza. La sensibilità ecologica che, per fortuna, è ben penetrata nelle nuove generazioni, è tuttavia sentita come percezione emotiva. Ma l’ecologia non è emozione, è scienza. È la stessa differenza che c’è fra amare la musica e suonare. Ci sono saperi ineludibili per la pratica della scienza ecologica, così come per la musica. Serve, con coraggio, fare propri i concetti scientifici di base, già a partire dalla formazione precoce, così come si fa con le lingue: prima le impari, più si radicano nella mente. Serve uno sforzo culturale per entrare nella complessità della natura e capire la funzione di un ecosistema, la biodiversità, la dinamica delle popolazioni. Serve uno sguardo al passato che spiega come, con la rivoluzione agricola prima e industriale poi, la Terra si è riempita di frumento, di animali domestici per sfamare l’incremento demografico folle di un’unica specie, impregnando nel contempo l’atmosfera di CO2. Serve la consapevolezza che l’uomo è parte della natura: è un mammifero primate della classe ponderale dei 50 kg a rischio, pur essendo la specie dominante, quanto il suo parente stretto, l’orango a cui ha eroso quasi completamente l’habitat.