L’ossessione del proibito
Incesto nel film di Valérie Donzelli da un’idea di Truffaut E farà scandalo «Love», tra poster censurati e sesso in 3D
«Se ci sposiamo sarai mio marito, e mio fratello». Non sarebbe lo stesso festival se non ci fossero, a metà traversata, il cartoon e lo scandalo d’autore sul sesso, possibilmente nella stessa giornata, com’è successo. Ma questo (da Garrone in poi) è anche l’anno delle favole, con tutte le sue variazioni s’intende.
Valérie Donzelli definisce Marguerite et Julien, la sua storia d’amore incestuosa, «una favola contemporanea su desiderio, passione, speranza, amore e morte. Una storia senza tempo, al di là della moralità». La regista ha scelto un’epoca moderna, un’età sospesa dove la radio (non c’è la tv) annuncia la fuga dei due fratelli innamorati, che fanno l’amore e avranno un figlio. Ma sono scene senza volgarità, c’è l’idea dello scandalo: non lo scandalo in sé come risulta alla prima proiezione, malgrado gli ammonimenti del prete di famiglia, che vuole separare i fratelli e vede il diavolo dappertutto, e ci mette del suo per forzare il padre di Marguerite a dare la figlia in sposa a un altro uomo. Il meccanismo ricorda Il flauto magico «di» Ingmar Bergman, si procede alla stregua di una pièce teatrale, e anche qui c’è il castello, ma il disvelarsi della storia è affidato a una «fatina» che la racconta, come se fosse una voce fuori campo, a un collegio per bambine.
Sullo sfondo di questa legge del desiderio contro le regole della società, c’è il più nobile cinema d’autore, visto che la regista ha preso tra le mani un vecchio progetto di Truffaut. Arrampicata su un vero fatto di cronaca, nell’aristocrazia della Normandia alla fine del XVI° secolo, è la storia dei due figli di un nobile che hanno il torto di amarsi essendo fratello e sorella. Finì con la loro decapitazione nella pubblica piazza, anno 1603.
Lo sceneggiatore della Nouvelle Vague, Jean Gruault, il preferito da Truffaut, portò una prima stesura nel 1971. Due anni dopo il regista (nel film c’è una citazione da Jeanne Moreau coi baffi in Jules et Jim), come ogni cavallo di razza scartò e disse: «Non se ne fa niente». Aveva orrore delle mode, e l’incesto, negli anni selvaggi post Sessantotto, era un piatto ghiotto su cui in tanti si avventarono. Quarantadue anni dopo, ecco i due fratelli amanti che nel film hanno il volto di Jérémie Elkaïm (ex compagno della Donzelli) e Anaïs Demoustier, piena di grazia melanconica. La regista l’ha scelta per «il suo candore e il suo rigore». Come il sale non si può separare dal mare, i fratelli sono due pesci che nuotano nello stessa acqua. Troveranno l’estasi e l’abisso, le ultime parole che si diranno, prima del patibolo, sono «sempre» e «ancora».
L’impero dei sensi, dopo l’amore saffico di Cate Blanchett in Carol, è presente anche nel melò sessuale Love del regista argentino Gaspar Noé, atteso dopodomani fuori gara. Un ragazzo, una ragazza, e un’altra ragazza: si preannuncia come il primo film semiporno in 3D, e la produzione stessa (ma non si sa se è una «lucherinata» pubblicitaria), ha censurato il poster sessualmente esplicito, virando verso uno più edulcorato. Noé si era già esercitato a Cannes nella sua arca del piacere con Irréversible (2002), con Vincent Cassel e Monica Bellucci. Un’altra variazione sul tema, a Cannes 2015, è Nahid di Ida Panahandeh, nuova perla dello stupefacente cinema iraniano, su un figlio conteso tra due divorziati, un padre ubriacone e giocatore d’azzardo, e una madre che accanto a un vedovo con le carte in regola vorrebbe giocare un’altra partita nella vita. La complicata femminilità in Iran. Ecco, questo è davvero uno scandalo.
«Marguerite et Julien» La regista ha scelto un’epoca moderna, la radio annuncia la fuga dei due fratelli