I fondi alla cultura e quelle critiche di Parigi contro l’inglese
Sesulla Croisette si combatte la battaglia per la Palma d’oro, dentro stanze meno appariscenti si combatte la guerra della politica e di un mercato cinematografico europeo al passo con i tempi. Lo hanno fatto i rappresentanti dei registi, guidati da Volker Schlöndorff, preoccupati di alcune possibile innovazioni legislative (sarebbe allo studio una specie di «abolizione delle frontiere» che permetterebbe ai grandi network di esportare in tutta Europa i diritti acquisiti in un solo Stato), ma soprattutto lo hanno fatto il primo ministro francese Manuel Valls e la responsabile della Cultura Fleur Pellerin. Il primo ha criticato il presidente Hollande per la riduzione del bilancio del ministero culturale nei primi due anni di governo della sinistra, annunciando per i prossimi due un congruo aumento degli stanziamenti; la seconda — interpellata dal Corriere — ha difeso «il diritto di ognuno a esprimersi nella propria lingua» senza sentirsi costretto a ricorrere all’inglese spersonalizzante. Questione importante in un festival dove molti dei registi selezionati (compresi Garrone e Sorrentino) hanno scelto di usare l’inglese per ragioni più commerciali che artistiche. Il presidente della commissione europea della cultura, l’italiana Silvia Costa, ha spiegato i molti fronti su cui è impegnata, dalla guerra alla pirateria a difesa del diritto d’autore, all’armonizzazione delle legislazioni europee fino alla messa a punto di regole di equità fiscale che costringano i grandi network come Netflix e Amazon a pagare le tasse non nei paradisi fiscali ma nei territori dove operano. Valls ha citato più di una volta gli accordi e l’unità di visioni tra Francia e Germania: speriamo solo che l’Italia si svegli dal torpore in cui era caduta qualche anno fa e trovi un posto da protagonista anche in queste battaglie. (p.me.)