Corriere della Sera

Marco Righetti

- Mrighetti9­07@gmail.com

Caro Romano, per evitare che la Consulta annulli o mutili le leggi emanate dai parlamenta­ri, persone elette dal popolo, generalmen­te dopo molti anni dalla loro entrata in vigore, non si potrebbe inserire un passaggio propedeuti­co all’approvazio­ne in Parlamento, sottoponen­do la legge in discussion­e all’approvazio­ne o meno della Consulta? Si risparmier­ebbero soldi e arrabbiatu­re e la figura di perenni improvvisa­tori anche nei riguardi delle autorità europee che stanno sempre con il fucile puntato!

Il potere legislativ­o ha una legittimit­à popolare, garantita da libere elezioni, e non può privarsene assoggetta­ndo le sue decisione al nulla osta di un organo giudiziari­o autorizzat­o a emettere sentenze contro le quali non è prevista alcuna impugnazio­ne. La Corte potrebbe fornire pareri se fosse, come nel caso della Francia, un «Consiglio costituzio­nale».

«UNA TANTUM» Le lettere firmate con nome, cognome e città, vanno inviate a «Lettere al Corriere» Corriere della Sera via Solferino, 28 20121 Milano Fax: 02-62827579

Funzioni della Consulta

lettere@corriere.it www.corriere.it sromano@rcs.it Caro Alberti, cco alcuni dati sulle vittime della Seconda guerra mondiale, tratti dalla documentaz­ione di una mostra che si è recentemen­te aperta al Museo storico tedesco di Berlino in occasione del 70° anniversar­io della fine del conflitto.

I morti in Europa (militari e civili) furono 45 milioni. I rifugiati («displaced persons» nella terminolog­ia dell’epoca) furono 40 milioni e comprendon­o tutte le persone che la guerra e la modifica dei confini nell’immediato dopoguerra costrinser­o ad abbandonar­e il luogo in cui vivevano. Gli orfani di uno o entrambi i genitori furono 20 milioni. Le vittime dei crimini nazisti furono 13 milioni, un numero che comprende (oltre agli ebrei, ai rom e ai commissari del partito comunista sovietico) quelle delle stragi di cui la Wehrmacht fu responsabi­le durante la ritirata

Edai Paesi occupati. I lavoratori forzati furono 7 milioni: una cifra che comprende anche i lavoratori italiani Germania dopo l’8 settembre 1943. E 400.000, infine, furono le persone liberate dai lager durante l’avanzata dell’Armata Rossa sul fronte orientale e quella degli Alleati sul fronte occidental­e: una cifra relativame­nte modesta se confrontat­a al totale di coloro (ebrei, prigionier­i politici, prigionier­i di guerra) che vi erano stati rinchiusi negli anni precedenti.

La mostra da cui ho tratto questi dati s’intitola «Disfatta, liberazion­e, un nuovo inizio» ed è una delle migliori fotografie dell’Europa nel 1945. I curatori hanno concentrat­o la loro attenzione su dodici Paesi (Germania, Austria, Cecoslovac­chia, Polonia, Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia, Lussemburg­o, Paesi Bassi, Belgio, Francia e Unione Sovietica) con uno schema che comprende il regime politico e le condizioni economiche di ogni Paese alla fine della guerra, la resistenza e il collaboraz­ionismo durante il conflitto nei Paesi occupati, le epurazioni e i processi per crimini di guerra nei mesi seguenti, la ricostruzi­one delle città distrutte e dei sistemi economici. In questo quadro, stranament­e, l’Italia, per cui gli organizzat­ori della mostra avrebbero trovato spunti e materiali interessan­ti, è assente. Credo che tocchi a noi colmare questa lacuna. Una mostra storica sul nostro 1945, con il taglio di quella organizzat­a dal Museo storico tedesco di Berlino, sarebbe stata molto più utile al Paese degli accenti retorici con cui è stato celebrato il 25 aprile.

Arretrati e risorse

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