Marco Righetti
Caro Romano, per evitare che la Consulta annulli o mutili le leggi emanate dai parlamentari, persone elette dal popolo, generalmente dopo molti anni dalla loro entrata in vigore, non si potrebbe inserire un passaggio propedeutico all’approvazione in Parlamento, sottoponendo la legge in discussione all’approvazione o meno della Consulta? Si risparmierebbero soldi e arrabbiature e la figura di perenni improvvisatori anche nei riguardi delle autorità europee che stanno sempre con il fucile puntato!
Il potere legislativo ha una legittimità popolare, garantita da libere elezioni, e non può privarsene assoggettando le sue decisione al nulla osta di un organo giudiziario autorizzato a emettere sentenze contro le quali non è prevista alcuna impugnazione. La Corte potrebbe fornire pareri se fosse, come nel caso della Francia, un «Consiglio costituzionale».
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Funzioni della Consulta
lettere@corriere.it www.corriere.it sromano@rcs.it Caro Alberti, cco alcuni dati sulle vittime della Seconda guerra mondiale, tratti dalla documentazione di una mostra che si è recentemente aperta al Museo storico tedesco di Berlino in occasione del 70° anniversario della fine del conflitto.
I morti in Europa (militari e civili) furono 45 milioni. I rifugiati («displaced persons» nella terminologia dell’epoca) furono 40 milioni e comprendono tutte le persone che la guerra e la modifica dei confini nell’immediato dopoguerra costrinsero ad abbandonare il luogo in cui vivevano. Gli orfani di uno o entrambi i genitori furono 20 milioni. Le vittime dei crimini nazisti furono 13 milioni, un numero che comprende (oltre agli ebrei, ai rom e ai commissari del partito comunista sovietico) quelle delle stragi di cui la Wehrmacht fu responsabile durante la ritirata
Edai Paesi occupati. I lavoratori forzati furono 7 milioni: una cifra che comprende anche i lavoratori italiani Germania dopo l’8 settembre 1943. E 400.000, infine, furono le persone liberate dai lager durante l’avanzata dell’Armata Rossa sul fronte orientale e quella degli Alleati sul fronte occidentale: una cifra relativamente modesta se confrontata al totale di coloro (ebrei, prigionieri politici, prigionieri di guerra) che vi erano stati rinchiusi negli anni precedenti.
La mostra da cui ho tratto questi dati s’intitola «Disfatta, liberazione, un nuovo inizio» ed è una delle migliori fotografie dell’Europa nel 1945. I curatori hanno concentrato la loro attenzione su dodici Paesi (Germania, Austria, Cecoslovacchia, Polonia, Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio, Francia e Unione Sovietica) con uno schema che comprende il regime politico e le condizioni economiche di ogni Paese alla fine della guerra, la resistenza e il collaborazionismo durante il conflitto nei Paesi occupati, le epurazioni e i processi per crimini di guerra nei mesi seguenti, la ricostruzione delle città distrutte e dei sistemi economici. In questo quadro, stranamente, l’Italia, per cui gli organizzatori della mostra avrebbero trovato spunti e materiali interessanti, è assente. Credo che tocchi a noi colmare questa lacuna. Una mostra storica sul nostro 1945, con il taglio di quella organizzata dal Museo storico tedesco di Berlino, sarebbe stata molto più utile al Paese degli accenti retorici con cui è stato celebrato il 25 aprile.
Arretrati e risorse