«Il mio Contador è una roccia Ha un cuore, non il computer»
Tinkoff, «zar» e sponsor: «Aru mi preoccupa, peccato non sia con noi»
La stretta di mano è definitiva come una dichiarazione di guerra. «Oleg. Tinkoff. Piacere». Appena sveglio, davanti a un caffè, lo zar di tutte le bici ha già fretta: «Voglio pedalare un po’, poi vado a Napoli a mangiare il pesce da Cicciotto. Tornerò al Giro per incoraggiare Alberto Contador alla vigilia della crono di Treviso. Cominciamo?». Cominciamo.
Il freddo della Siberia, dove è nato 47 anni fa figlio di un minatore, ha scolpito questo omone che dalla perestroika ha saputo tirare fuori un futuro: ha comprato e venduto elettronica, birra, ristoranti (specialità pelmeni: ravioli russi), banche online e, soprattutto, ciclisti. Con il migliore, Contador, dal 2012 si è annesso due Vuelta di Spagna.
Troppo poco, per un businessman bulimico di affari. «La Tinkoff è qui per vincere il Giro. Poi penseremo al Tour. Il ciclismo è il mio più grande amore. Mi costa una montagna di soldi: sarei felice se un giorno riuscissi a cavarci fuori un guadagno, come Abramovich con il Chelsea. Il problema è che manca un modello di business: non ho ritorno dai diritti tv, non guadagno sul merchandising, questo è l’unico sport che non fa pagare il biglietto...».
Servirebbe una glasnost anche qui: scusi, ma chi glielo fa fare? «La passione. Totale, assoluta. C’è chi butta via soldi al casinò, chi spende in vini, yacht, donne. Io sono fedele a Rina, mia moglie, da 27 anni». E al ciclismo da sempre.
Bambino, a Leninsk-Kuznetsky, non ha idoli. «Non mi piacciono, anche la Bibbia sconsiglia di averne: credi in te stesso, c’è scritto». A 12 anni, scopre la bici. E, soprattutto, le conseguenze di una vittoria: «Grande e grosso come sono, ero forte allo sprint. Mi piaceva pedalare veloce, mi piaceva il sapore del successo. Vivevo in un paese di mille abitanti: dal momento in cui finii sul quotidiano locale, per strada mi riconoscevano tutti. Ricevere attenzioni era bellissimo».
Parte per il servizio militare obbligatorio. Due anni. Al ritorno, il mondo è cambiato. «C’erano l’Unione Sovietica e la cortina di ferro. I giornali arrivavano dopo sei mesi, internet non esisteva. Poi, all’improvviso, con il crollo del muro si spalancarono possibilità di business incredibili » . Apre e chiude imprese, ma la bici gli resta nel cuore.
Parla di Anquetil, Merckx, Pantani, «dei miei ragazzi Berzin e Tonkov», come se li avesse battuti uno ad uno. Scartato il calcio ( « Ho tifato Juve in Champions contro Alberto, che è del Real, e ogni tanto vado a vedere la Premier League, però il pallone non è un investimento che fa per me»), lo sbarco nel Pro Tour.
Con Contador è stato colpo di fulmine: due maschi alfa, lucidi e ambiziosi, attirati dalla corsa all’oro. «Era destino. Appena arrivato, Alberto sbancò la Vuelta con il mio nome sulla maglia».
L’anno scorso al Tour non gli ha risparmiato critiche, quest’anno al Giro lo coccola come un figlio. «Gli altri corrono con il computer in testa, Alberto pedala con il cuore. È la sfida dell’uomo contro le macchine». A dire il vero, in sella senza batter ciglio con la spalla lussata, da Castiglione in poi il robot è sembrato il pistolero triste. «È una roccia. Sono stato con lui sul Teide una settimana. La durezza dei suoi allenamenti mi ha scioccato. Ronaldo, Messi, Federer, Nadal non hanno idea dei sacrifici di un ciclista di alto livello. Quando resta un’ora di più in campo a tirare punizioni, Ronaldo pensa di aver sputato sangue. Venga a vedere la spietatezza di un ritiro di Alberto...»
La lunga storia di doping del ciclismo non disturba mister Tinkoff: «È nato con un karma sfortunato. Tutti gli sport professionistici hanno il doping ma si parla solo delle due ruote. Si fanno molti controlli, c’è una nuova generazione. Io al doping non credo: è dietro le spalle».
Qualsiasi risultato che non sia un trionfo di Contador al Giro, sarebbe considerato un fallimento. Fabio Aru permettendo. «È il principale rivale di Alberto. Più di Porte, più di Uran. Aru mi preoccupa: è forte, giovane, motivato, intelligente. Ha visto come ha punzecchiato il pistolero? A me Aru piace, lo vorrei nella Tinkoff: purtroppo ha firmato il rinnovo con l’Astana per un altro anno, sennò...».
Dopo Russia e Kamchatka («Il posto migliore del mondo per sciare»), il paese preferito dallo zar è l’Italia. Perché? «Per lo stile di vita, la giovialità delle persone, il cibo... Da dieci anni ho una villa a Forte dei Marmi. Quando ho saputo che Porte dorme nel motorhome da solo, ho invitato Alberto al Forte! Ha visto nella tappa-maratona di 264 km cosa ha fatto? Si è alzato sui pedali, sembrava ballasse... È il suo stile. Aggressivo e elegante, ecco perché l’ho voluto. Solo lui può riuscire nella doppietta Giro-Tour dopo Pantani. A proposito: scriva che tra le grandi corse a tappe le mie preferite sono, nell’ordine: Giro, Tour, Vuelta». Dice così per farci contenti? «Ma no, è la verità. Ora vado, mi scusi, ho da fare».
Il polipo con patate di Cicciotto è in pentola, Contador si sta scaldando sui rulli. Tinkoff ha fame. Se il pistolero non colpisce al cuore il Giro, si mangia entrambi.
Grande amore Il ciclismo è il mio grande amore, ma mi costa una montagna di soldi: mi piacerebbe guadagnarci Messi e Nadal a lezione Se Ronaldo, Messi, Nadal vedessero Alberto allenarsi capirebbero cosa vuol dire sputare sangue