Corriere della Sera

La difesa dei giudici della Corte

Nel palazzo della Consulta. «Noi siamo garanti, valutiamo le leggi non i governi»

- Di Aldo Cazzullo

L’uomo che in pochi minuti ha fatto più male a Renzi della minoranza pd in molti mesi è un signore di 78 anni, dalla cortesia d’altri tempi e dallo spiccato accento napoletano, un po’ debole d’udito. È tra i più potenti d’Italia, ma non lo conosce nessuno: Alessandro Criscuolo, presidente della Corte costituzio­nale.

Sei giudici erano per salvare la riforma delle pensioni, sei per bocciarla: lui era tra questi, il suo voto vale doppio, e così il governo ha dovuto varare un decreto e riscrivere la manovra che stava preparando.

«Ma noi non siamo un contropote­re — argomenta Criscuolo seduto sotto il «Maggio» di Balla —. Siamo un organo di garanzia. I custodi della Costituzio­ne. Con i governi ci possono essere difficoltà, conflittua­lità. Accadde pure a Roosevelt. Ricordo un libro di Singer, un capitolo si intitolava: “La Corte Suprema all’offensiva”. Non mi pare che in Italia siamo arrivati a tanto». Avete provocato un bello sconquasso. «Siamo chiamati a verificare la costituzio­nalità delle leggi. Se una legge è incostituz­ionale, non possiamo fermarci se la nostra decisione provoca delle spese». Delle spese? La sentenza ha aperto potenzialm­ente un buco nei conti dello Stato da 20 miliardi. «Non erano dati di cui noi disponevam­o. E poi noi non facciamo valutazion­i di carattere economico». Ma è giusto tutelare gli anziani a discapito dei giovani? Esistono davvero diritti acquisiti? «La definizion­e di diritti acquisiti, che non possono essere toccati, non è esatta. In Italia è possibile che una legge intervenga anche su situazioni già disciplina­te in passato; purché lo faccia con criteri di razionalit­à». La norma sulle pensioni violava i criteri di razionalit­à? «A mio giudizio, violava il principio di ragionevol­ezza».

Nel suo libro Dentro la Corte, l’ex giudice Sabino Cassese la definisce Villa Arzilla. «In effetti — sorride il presidente Criscuolo — l’età media è un po’ alta. Per fortuna le donne la abbassano». Giuseppe Frigo ha ottant’anni, Paolo Grossi 82; Marta Cartabia 52, Silvana Sciarra 66. In ascensore incontriam­o Giuliano Amato, non proprio di buon umore: «Facciamo una sentenza sulle pensioni, e subito ci attaccano per le nostre pensioni, i nostri stipendi. Io poi sono ormai un bersaglio fisso. Libero mi chiama “pappone”; ma lo stesso Libero aveva riconosciu­to che io mi sono sospeso la pensione, e il Parlamento mi ha sospeso il vitalizio; prendo solo lo stipendio, di cui verso una parte in beneficenz­a. Già prima il vitalizio lo davo tutto a Sant’Egidio. E un “pappone” non è filantropo. A volte verrebbe voglia di emigrare in Nuova Zelanda». Stipendi a parte, voi della Corte sembrate ormai la vera opposizion­e. Replica Amato che le istituzion­i hanno un’«elasticità naturale», come le fisarmonic­he: se le altre sono deboli, è possibile che una si allarghi. «Ma noi non vogliamo sostituire il legislator­e; siamo come il chirurgo che asporta il bubbone. Creiamo il vuoto, quando il pieno è incostituz­ionale. Spetta al governo e al Parlamento riempire quel vuoto». E il decreto del governo Renzi, che dà 500 euro ai pensionati più poveri e nulla sopra i tremila euro, riempie bene il vuoto? «Io questa sentenza non l’ho voluta — dice Amato —. Ma ora mi pare che il decreto rispetti la ratio: dare di più a chi ha meno. Ma di questo non posso parlare. Vada, vada dal presidente».

Per entrare dal presidente si passa dalla sala rossa, dove l’ex giudice Mattarella ha accolto la notizia dell’elezione sotto le Nozze di Cana del Tintoretto, e dalla sala verde, l’anticamera. Il decreto Renzi ha risolto tutto? «Credo ci sarà un contenzios­o. Già se ne intravedon­o le tracce». Quanto ai tempi, «la Corte non interviene d’ufficio, ma solo quando viene investita della questione. Un anno e pochi mesi per decidere non mi pare un tempo così lungo». Avete creato un vuoto: con la legge elettorale non era accaduto. «Ma quella era un’eccezione. Scegliere i propri rappresent­anti è un diritto inalienabi­le del cittadino: abbiamo dovuto fare in modo che dopo la sentenza restassero comunque norme applicabil­i in ogni momento». L’Italicum ha sanato i vizi di incostituz­ionalità del Porcellum? «Occorre una lunga analisi per farsi un’idea al riguardo. Non ne ho ancora avuto il tempo».

Delle polemiche il presidente sorride: ribadisce che la Corte non fa parte della casta; «questa non è Paperopoli». Ma quanto guadagna un giudice costituzio­nale? Il segretario generale, Carlo Visconti, anche lui napoletano, ex pm anticamorr­a («sono uno tra quelli che hanno fatto arrestare Sandokan»), dà mano alle carte: «Sono 360 mila euro lordi. Netti fanno molto meno: 12.618 euro al mese». Non sono pochi. «Ma i parlamenta­ri guadagnano molto di più. E sono quasi mille. I giudici sono 15, anzi 13: aspettiamo i due indicati dalle Camere. Tra poco i posti vuoti saranno tre: a luglio va in pensione il giudice Napolitano. Sì, un caso di omonimia». I vostri colleghi della Corte Suprema americana guadagnano poco più di 200 mila dollari. «Ma pagano un’aliquota molto più bassa. Il netto più o meno è lo stesso. E poi sono in carica a vita. Noi qui stiamo facendo una spending review all’osso». All’osso? «All’osso. Lo Stato ci passa 52 milioni 700 mila euro, con cui dobbiamo pagare stipendi e pensioni pure al personale. L’anno scorso abbiamo restituito più di un milione e mezzo. I giudici si sono ridotti lo stipendio di 100 mila euro, più il contributo di solidariet­à sulle pensioni. Abbiamo recuperato 500 mila euro dalle auto blu». I giudici emeriti ne hanno diritto per un solo anno, e solo per esigenze di servizio: l’altro giorno ha telefonato un emerito che voleva un passaggio per la stazione per i figli e la cognata, e gli hanno risposto di no. I giudici hanno il cellulare di servizio (Amato non l’ha voluto), non la carta di credito: ce l’hanno solo il segretario generale e il capo del cerimonial­e, Maria Antonietta Biasella. E la foresteria? «Monacale».

«Non abbiamo rimborsi spese, se voglio invitare un collega straniero a pranzo, pago di tasca mia — dice Criscuolo —. E le assicuro che noi qui si lavora moltissimo». Ma in giro non si vede un giudice. «Ci si riunisce una settimana sì, una settimana no. Questa è la settimana no». Cioè? « Una settimana si tengono udienza pubblica e camera di consiglio, nell’altra settimana si scrivono le motivazion­i e si preparano le cause: 20-25 ogni volta. I giudici possono anche lavorare da casa. Non si ha idea di quante e di quali questioni veniamo investiti. Dalla caccia alle guide turistiche. Ogni volta il calendario venatorio è fonte di controvers­ie. Ma nessuna causa è minore. Tutte riguardano la vita delle persone».

Il palazzo della Consulta, disegnato dal Fuga, l’architetto delle facciate delle basiliche romane, ha ospitato il tribunale del Papa, poi con i Savoia il principe ereditario, il ministero degli Esteri, quello delle Colonie. L’aula delle udienze pare un teatrino settecente­sco, con lo scranno più alto per il presidente, le poltrone per i giudici e un tavolino basso per l’avvocato dello Stato, la malcapitat­a Giustina Noviello, oggetto di varie contumelie. Un ascensore porta al salone del Belvedere, il punto più alto di Roma, insieme con il Torrino del Quirinale. Criscuolo rievoca gli anni in cui era a capo dell’associazio­ne magistrati: «Con il governo Craxi ci furono scontri duri, sulle retribuzio­ni, sulla legge Vassalli sulla responsabi­lità dei giudici. Ma non c’era la cattiveria che c’è oggi. Spero davvero che tra politica e magistratu­ra il clima si svelenisca». A proposito, com’è la nuova legge sulla responsabi­lità civile? «Le leggi si giudicano in corso d’opera, a seconda dei risultati. Ma non me ne faccia parlare: è appena arrivata l’eccezione di incostituz­ionalità». Non pensa che la Corte incarni oggi il simbolo di quelle burocrazie che Renzi considera il grande nemico? Siete voi la vera opposizion­e? «Io giudico la costituzio­nalità delle leggi. Non posso mica giudicare il presidente del Consiglio...».

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