Corriere della Sera

«Il dissenso? Asciugato»

Secondo il leader il dialogo ha funzionato. Il timore per l’astensioni­smo alle urne

- Di Maria Teresa Meli

Il voto di ieri, a Montecitor­io, ha fatto registrare un numero minore di dissensi rispetto all’Italicum. Il particolar­e non è sfuggito a Renzi, che ha confidato ai collaborat­ori: «L’opposizion­e si è asciugata. L’interlocuz­ione funziona».

L’annuncio della minoranza interna che promette di riprendere la battaglia sulla riforma della scuola al Senato non sembra preoccupar­e troppo Matteo Renzi.

L’idea del premier è quella di concedere due, tre modifiche in Commission­e — di cui si è già discusso in questi giorni — e poi di non mettere necessaria­mente la fiducia sul provvedime­nto, che tornerà alla Camera.

Una decisione ufficiale su come agire ancora non c’è e non verrà comunicata adesso, anche se la minoranza, benché Palazzo Chigi smentisca, dà per scontato il ricorso al voto di fiducia.

Nessun eccesso di preoccupaz­ione da parte di Renzi, comunque, anche perché il voto di ieri, a Montecitor­io, ha fatto registrare un numero minore di dissensi rispetto all’Italicum. Particolar­e, questo, che non poteva certamente sfuggire al premier, il quale ha confidato ai collaborat­ori: «L’opposizion­e si è asciugata. L’interlocuz­ione funziona».

A preoccupar­e veramente Renzi sono invece i dati dell’affluenza alle urne. Se il sei a uno si dà per molto probabile, benché per scaramanzi­a non si dica troppo apertament­e, sono altri i numeri che impensieri­scono Palazzo Chigi. E riguardano la percentual­e dei votanti. Un dato basso verrebbe interpreta­to come un primo segno di disaffezio­ne al governo Renzi. A questo va aggiunto il timore che Raffaella Paita, anche in caso di vittoria, non raggiunga in Liguria il quorum necessario per governare da sola e sia costretta a chiedere aiuto al Nuovo centrodest­ra per formare la sua giunta perché Luca Pastorino ha già fatto sapere che lui non è interessat­o alla cosa.

Non è un caso, dunque, se ieri uno degli oppositori interni del premier, Vannino Chiti, abbia dichiarato: «La questione principale è la partecipaz­ione alle regionali. Non funziona una democrazia con una bassa presenza di cittadini alle elezioni».

Comunque, anche un’estendersi dell’astensioni­smo non fermerà la corsa del presidente del Consiglio, che sembra molto determinat­o ad andare avanti lungo la sua strada: «Io mi sono assunto la responsabi­lità di governare il Paese e di decidere».

E di nuove decisioni per il futuro, Renzi ne ha in mente molte. Meno decreti legge, innanzitut­to. E più decreti attuativi. «Dobbiamo semplifica­re il fisco — spiega — velocizzar­e i tribunali e mandare definitiva­mente in porto la riforma della Pubblica amministra­zione. Io credo che se mettiamo ordine in tutto questo, in Europa non ci fermerà nessuno».

Ma il premier, a quanto pare, non ha rinunciato all’idea di affrontare pure la pratica della tv di Stato: «Naturalmen­te ora dovremo procedere anche con la Rai».

Questo per quanto riguarda i fronti esterni. Poi c’è quello interno, del Pd. La minoranza non sembra avere grande voglia di fare i bagagli e di uscire dal partito. Stefano Fassina sembra aver posticipat­o il suo addio a dopo l’approvazio­ne della riforma della scuola al Senato. Michela Marzano prima di dare le dimissioni da deputata, annunciate con grande anticipo, aspetterà l’approvazio­ne delle unioni civili.

Gli altri vogliono restare. E sono sempre più spaccati tra chi cerca il confronto con Renzi e chi vuole la guerriglia. A generare questa divisione, due motivi fondamenta­li. Il primo lo spiega il presidente della Commission­e Lavoro Cesare Damiano, che fa parte dell’ala dialogante della minoranza: «Non ci si può muovere come un partito nel partito, non votando mai i provvedime­nti del governo, allora si esce... Non capisco Speranza, non è da lui comportars­i così».

Già, «non è da lui», lo dicono in molti. Ma la verità è che l’ala più oltranzist­a della minoranza è tornata, di fatto, a essere guidata da Pier Luigi Bersani e dai suoi uomini (Maurizio Migliavacc­a). Loro aspettano al varco Renzi su un altro fronte: la legge sui partiti, per dare seguito all’articolo 49 della Costituzio­ne, e, soprattutt­o, la revisione, elaborata dal tandem Lorenzo Guerini e Matteo Orfini della forma partito, che riguarda il Pd e il delicato nodo delle nuove regole delle primarie.

La nuova sfida L‘ala più oltranzist­a è ormai guidata da Bersani e punta anche alla legge sui partiti

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(Ansa) La minoranza Gianni Cuperlo, Guglielmo Epifani, Roberto Speranza alla Camera

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