Fermati i super hacker Gli italiani di Anonymous che colpivano il governo
Due arresti a Livorno e Sondrio, tre denunce. Presi i pc
Indagavano da parecchi mesi su di loro: Valerio Camici, 31 anni, portuale di Livorno e Fabio Meier, 27, di Sondrio, le «primule rosse» del mondo hacker internazionale, secondo gli uomini della Polizia postale, che martedì pomeriggio con due blitz simultanei li hanno sorpresi nelle rispettive case con i computer accesi e le connessioni aperte: l’unico modo per smascherarli. Sullo schermo di Valerio Camici c’era in evidenza il documento di rivendicazione dell’ultima campagna antimilitarista di «Anonymous Italia» e «Operation Green Rights», a cui il giovane stava ancora lavorando.
Attivisti e menti della cyberrivolta con i nickname di «Aken» (Camici) e «Otherwise» (Meier) hanno provato fino all’ultimo a fermare i poliziotti. Meier in extremis è riuscito pure a staccare la spina dal muro, nella speranza di avviare automaticamente la criptazione dei dischi. Ma gli agenti del Cnaipic (il Centro Nazionale Anticrimini Informatici per la Protezione delle Infrastrutture Critiche), guidati dal vicequestore Ivano Gabrielli, hanno sequestrato almeno 5 computer a ognuno, oltre a una discreta quantità di hard disk e processori. E adesso tutto il materiale verrà esaminato nei laboratori di Roma. Altri tre giovani, uno di Torino e due di Livorno, sono stati solo denunciati. Soddisfatto, il ministro dell’Interno, Angelino Alfano: «Il nostro apparato di contrasto al cyber-crime è un fiore all’occhiello del Paese».
Aken e Otherwise sono accusati di aver portato a termine, in questi anni, almeno 30 attacchi informatici ai sistemi di numerose amministrazioni pubbliche e aziende private: Corte Costituzionale, Presidenza del Consiglio, i ministeri dell’Interno, della Giustizia, della Salute, dello Sviluppo Economico, la Procura della Repubblica e il Tribunale di Torino, la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri, le Regioni Veneto, Calabria, Piemonte, i sindacati di Polizia e degli agenti della Penitenziaria. Eppoi Equitalia, Eni, Enel.
Tre settimane fa avevano colpito anche Expo 2015, riuscendo a buttar giù la biglietteria online, per una notte intera, proprio alla vigilia dell’inaugurazione e appoggiando poi « virtualmente » la violenta protesta nelle vie di Milano del primo maggio.
«Noi siamo liberi, nessuno Per cento È l’aumento degli attacchi informatici registrato negli ultimi cinque anni
Miliardi di euro È la stima dei danni subiti dalle aziende italiane nel 2014 a causa di hacker Da Ministeri alle Regioni, dalle forze dell’ordine alle aziende. Ecco i principali sistemi informatici attaccati dai due hacker arrestati ieri ci dice cosa pensare, noi siamo uno, noi siamo uniti, noi siamo legione...», c’è scritto sul blog di Anonymous Italia. È il «movimento liquido»: quello dell’antagonismo via web, che porta avanti a livello internazionale battaglie ambientaliste (No Tav), contro gli armamenti (No Muos), per i diritti civili e dei lavoratori, descritto bene dalla scrittrice Carola Frediani nei suoi libri «Dentro Anonymous» e «Deep Web», che infatti ora si sofferma sull’accusa pesantissima di «associazione a delinquere» mossa dalla procura di Roma contro i due hacker, sottolineando piuttosto che essi «non si sentono affatto dei criminali — osserva la Frediani — ma dei sinceri genuini attivisti». L’ultimo attacco c’è stato lunedì scorso, quando è stato «hackerato» il sito del ministero della Difesa: «Cittadini del mondo, annunciamo che una lista di dati personali di eserciti e governanti è caduta nelle nostre mani...», recitava il documento di rivendicazione subito postato insieme all’elenco dei nomi e degli indirizzi di numerosi addetti.
Fino all’altra notte, Fabio Meier che si faceva chiamare «Otherwise» twittava e chattava in libertà con giornalisti del settore e cyber-scrittori, ma poi, per confondere le idee agli investigatori, si creava altre identità online. E lo stesso faceva Camici-Aken, che addirittura in rete si faceva passare per una donna con simpatiche uscite in dialetto umbro. «Loro si nascondevano — conclude Antonio Apruzzese, il capo della Polizia postale e delle Comunicazioni — ma noi siamo riusciti a farli affiorare».