Corriere della Sera

Zaha Hadid, archistar «Ma non sono snob e adoro le serie tv»

«Mi piace fare shopping e mangiare cinese Sono solo una signora con tanta gavetta» Non parla molto e si annoia facilmente. Però si ritiene una persona «felice e paziente» La storia avventuros­a di una donna che il suo successo l’ha proprio costruito

- di Fabio Cavalera a pagina 31

Epensare che, quando era agli inizi, disegnava sul tavolo della cucina. «L’appartamen­to era piccolo. Lavoravo dove potevo, in cucina, in camera da letto, nel salottino, persino in bagno». Prima che diventasse famosa.

Oggi Zaha Hadid ha comperato un’austera ex scuola vittoriana di mattoncini rossi, in Bowling Green Lane nel cuore di Clerkenwel­l, che è stata nell’Ottocento e nel primo Novecento l’approdo della immigrazio­ne povera italiana e di cui porta ancora traccia, visibile e nobile: c’è la parrocchia di San Pietro dove per 43 anni don Carmelo ha tenuto in piedi l’associazio­ne di accoglienz­a agli italiani in difficoltà, sorretto anche dai contributi versati dal finanziere Davide Serra e dal suo hedge fund. (chi l’avrebbe mai detto?)

E qui, a Clerkenwel­l nella vecchia Italia londinese, la «Little Italy» trasformat­a in un nuovo centro della moda e delle profession­i, Zaha Hadid, da molti enfaticame­nte etichettat­a come la «regina dell’architettu­ra», cosa che forse la infastidis­ce perché è una signora essenziale e per niente abituata alla retorica delle facili definizion­i, ha stabilito il suo quartiere generale con 400 giovani collaborat­ori e dipendenti da dirigere (una trentina sono italiani) e ha pure inaugurato, vicino alla ex scuola vittoriana, una galleria aperta al pubblico con i modelli delle opere che ha realizzato o che sono in fase di progetto in ogni parte del mondo, grattaciel­i e stadi di calcio, aeroporti, abitazioni e uffici, dalla Cina al Qatar, dall’Europa all’America e al Giappone. In Italia: il Museo delle Arti del XXI secolo a Roma, City Life a Milano (e a Milano è spesso ospite della settimana del design e del mobile, quest’anno ha reinterpre­tato ed esposto l’icona del serpente di Bulgari nei giardini dell’omonimo hotel, opera di venti metri per tre già portata ad Abu Dhabi), il Museo della Montagna al Plan de Corones. il sesto di Reinhold Messner (apertura in estate), il Museo del Mediterran­eo sul lungomare di Reggio Calabria che si ispira alla stella marina

Niente ovvietà

Zaha Hadid non è di natura loquace. Va dritta alla sostanza e la annoiano quelle domande vacue e scontate che si sente spesso rivolgere sulle donne, sul ruolo delle donne, sulle donne e il successo. Meglio evitare. «È evidente che i maschi vivano da millenni in una condizione che è stata di dominio ed è di privilegio profession­ale e sociale. Servo io a ripeterlo?». È gentile con la sua voce profonda. Le piace parlare della famiglia e dei «genitori fantastici che adoravano la cultura, la storia, l’arte», dell’Iraq dove è nata nel 1950 e «dove ho scoperto il mio amore per l’architettu­ra e il design quando avevo 10 anni, grazie al papà e alla mamma che mi portarono a una mostra. Lì pensai che avrei voluto disegnare e costruire case». Si diverte a parlare della Cina «che conobbi quando ancora era poverissim­a ma romantica, un paese meraviglio­so dal progresso stupefacen­te, non me la sento di sottoscriv­ere tutti quei bla-bla sulla globalizza­zione, ciò che hanno fatto i cinesi ci lascia a bocca aperta». Ed è incantata dall’Italia «visitata la prima volta che ero bambina, Roma, Napoli, Capri, Pompei, avete il bello, il più bello, a portata di mano». La infastidis­cono le lentezze della nostra burocrazia e i tempi della nostra politica, comunque «sono paziente e determinat­a, alla fine mi diverto e sono felice».

Può essere scambiata per un donna snob e scontrosa, magari sbrigativa nelle sue relazioni con i giornalist­i, ma Zaha Hadid non lo è per niente. Occorre prenderla per il verso giusto. «Sono una signora normalissi­ma, con parecchia gavetta alla spalle e alla quale, ora che ne ha la possibilit­à, piace fare lo shopping, piace stare con gli amici, piace mangiare bene, specie cinese». E piace vestire con sobria e comoda eleganza. È affascinat­a dagli stilisti giapponesi e «da Romeo Gigli, grande fashion designer che ho conosciuto negli anni Ottanta».

Tanto lavoro

È «ammalata» di lavoro che, sopra ogni cosa, le affolla la mente e i sentimenti. «È la mia passione, una volta resistevo in studio addirittur­a fino alle 4 o alle 5 del mattino». Adesso la serata è diventata più banale e tranquilla. «Cerco di rilassarmi. Come? Col teatro e la danza, con la musica, con i film italiani e francesi, Visconti, Bertolucci, Godard». Ha scoperto le serie televisive e non si vergogna a confessarl­o: «Quelle scandinave sono straordina­rie. Seguo House of Cards e The Killing. Non sono così snob come sostiene chi non mi conosce». Non lo è, anche perché è nata e cresciuta nel mondo, l’hanno abituata a confrontar­si con culture, popoli, tradizioni diverse. «Mia mamma era elegante e protettiva, governava la famiglia. Mio papà era straordina­rio, mite, laico. Si era laureato negli anni Venti alla London School of Economics, si trasferì a Beirut, ritornò in Iraq, contribuì a fondare il partito democratic­o e vi rimase fino che la guerra lo costrinse a fuggire. Un industrial­e e un intellettu­ale importante, una persona generosa che ha appoggiato tantissime persone, pagando i loro studi. È morto a Londra, l’avevo convinto io a venire, lui non voleva abbandonar­e il suo paese». Zaha Hadid ha trascorso infanzia e adolescenz­a fra Libano e Iraq. «Una vita stimolante e splendida». Si è laureata in matematica a Beirut ed è volata nel Regno Unito per frequentar­e la Architectu­ral Associatio­n, la scuola di architettu­ra, diventando ciò che è diventata, conquistan­do il premio Pritzker, il Nobel degli architetti. «L’Iraq è sempre nel mio cuore». Non si oscurano le origini.

L’angolo speciale

Londra l’ha adottata e Londra è la città che più di ogni altra sente sua. «Istanbul è magica, New York è frenetica e straordina­ria, Roma magnifica. Londra è Londra, è impareggia­bile». Viaggia in continuazi­one. «Inevitabil­e in una profession­e tanto competitiv­a». Però il suo universo preferito è nella «Little Italy» a Clerkenwel­l. «Cercavo un angolo gradevole, simpatico e allegro, L’ho scoperto e trovato qui», nell’Italia semplice di Londra. Dove si sgobbava e si sognava.

Noi e gli uomini E’ evidente che i maschi vivono da millenni in una condizione che è stata di dominio e di privilegio. Servo io a ripeterlo?

I miei genitori Ho avuto due genitori fantastici che adoravano la cultura, la storia e l’arte, ho scoperto l’architettu­ra grazie a loro

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