Mattarella chiede più Europa Gli inglesi: sono affari nostri
Franco confronto durante la visita a Londra del presidente
LONDRA Nel giorno in cui David Cameron comincia un tour in quattro Paesi per chiedere «meno Europa», Sergio Mattarella arriva nel Regno Unito per chiedere «più Europa». Missione ardua, la sua. Forse impossibile, in una Gran Bretagna percorsa da febbri euroscettiche, il cui premier preme per «riportare a casa» con una vasta riforma certi poteri ceduti a Bruxelles e che vive nella prospettiva di far sciogliere ai propri cittadini, entro il 2017, il dilemma della permanenza nella Ue. Con la prospettiva che stavolta si materializzi un’uscita carica di incognite per tutti. «Brexit».
Chi vincerà la partita? E come si sente lui, gli domandano i cronisti, in questa Londra divenuta una tana del lupo per gli europeisti? «Non è affatto la tana del lupo», ribatte imperturbabile il presidente della Repubblica. «Qui siamo in una nazione amica. Siamo insieme nell’Unione Europea e contiamo di restarci, insieme». Ma è davvero così sereno, dopo il colloquio con il ministro degli Esteri Philip Hammond? Quando le ha premesso drasticamente «dobbiamo essere chiari: una maggior integrazione non ci interessa, chi vuole è libero di perseguirla, ma si può non essere d’accordo», che impressione ha ricavato? «L’impressione, volete? Ormai è affidata al popolo britannico… L’Inghilterra ha superato momenti impegnativi, supererà anche questo».
Ha insomma un po’ il sapore di una sfida nel nome dell’Europa, la visita Oltremanica del capo dello Stato. Elisabetta II, sempre curiosa delle cose italiane, lo accoglie con regale cortesia a Buckingham Palace. Tuttavia è nel faccia a faccia (definito «molto franco», cioè duro) con il responsabile del Foreign Office che Mattarella misura la difficoltà di rilanciare, con distanze così esplicite, la visione europeista sulla quale si è formato e nella quale crede. Per sua fortuna dispone di un lungo intervento alla London School of Economics per spiegare, e far mettere agli atti, «le ragioni a favore dell’Europa».
Riconosce in primo luogo che il progetto «non è ancora pienamente realizzato» e che, sì, resta «un cantiere in costruzione». Analizzato tra passato e presente, l’ideale che fu di Monnet, Schumann e De Gasperi e anche di Churchill (di cui ricorda come già nel ‘46 si battè per la causa degli «Stati Uniti d’Europa») si è via via appannato per un concorso di cause interne — che hanno alimentato, tra l’altro, la sfiducia nelle «liturgie burocratiche» delle istituzioni di Bruxelles — e sotto l’incalzare di diversi motivi di allarme. Il presidente ne indica tre: 1) gli ininterrotti collassi dell’economia mondiale cominciati nel 2008, con riflessi che si traducono nelle «perduranti difficoltà finanziarie e frizioni nella gestione della moneta unica dell’Eurozona»; 2) «l’emergenza immigrazione, con le drammatiche tragedie di questi ultimi anni; 3) «il problema della sicurezza ai nostri confini».
Crisi parallele che ci spingono a trovare «soluzioni condivise». «Sfide globali» che soltanto «una maggior integrazione renderà possibile ai Paesi europei essere all’altezza del compito». «Cimenti rinnovati di fronte ai quali apparirebbe inadeguato e quasi puerile far fronte con la fuga, tornando sui proprio passi», sentenzia senza sfumature. E se sul versante dell’economia gli pare che la Ue abbia varato strumenti adeguati anche con l’appoggio di una Bce «autorevole» (e dichiara «fiducia» pure sul rebus greco), è sul «dram- ma epocale» della crisi migratoria che il Vecchio Continente per lui si gioca la reputazione. Anzi, l’anima. Con Mare nostrum l’Italia ha fatto molto, e «da sola», rivendica. Poi, sono stati «necessari troppi morti» perché si risvegliasse la «coscienza collettiva» dell’Europa. Ed ecco il nodo in cui tutto si tiene, nell’esortazione di Mattarella a recuperare gli «ideali fondanti» di democrazia, tolleranza, e soprattutto «solidarietà». Perché, sillaba, «la democrazia non si esporta con le armi», ma con l’esempio e con «politiche lungimiranti», in grado di superare le contingenze e gli egoismi nazionali. Un calibrato piano d’interventi è indispensabile, conclude, anche perché «è proprio dall’area mediterranea che giungono le minacce più pericolose per la nostra stabilità» e che impongono alla Ue di «parlare con una sola voce» e ritrovando «coraggio».
La tana del lupo «Questa non è la tana del lupo, ma una nazione amica. Contiamo di restare insieme»