Corriere della Sera

Quei tagli invisibili

- Di Sergio Rizzo

Dal 2010 la spesa per il personale delle Regioni è bloccata per legge. Peccato che i tagli, pari in tutto al 2,5 per cento, siano quasi invisibili.

Non possiamo negarlo: per tagliare, le Regioni hanno tagliato. È dalla primavera del 2010, dalla prima drammatica manovra del governo Berlusconi mentre l’Italia era investita in pieno dalla crisi, che la spesa per il personale pubblico, dunque Regioni comprese, è bloccata per legge. Di più: due anni prima era stato anche decretato un ulteriore stop categorico alle assunzioni. Dal che si deduce che il personale regionale, in alcuni casi non esattament­e scarso (almeno dal punto di vista numerico), sarebbe dovuto diminuire. Non fosse altro, per le uscite dovute a questioni anagrafich­e. Mosse antitagli Peccato soltanto che i tagli, pari in tutto al 2,5 per cento, siano quasi invisibili. Per non parlare delle mosse furbesche con cui alcuni enti sono riusciti a evitare la ghigliotti­na. Nel triennio 20112013, per esempio, la Campania ha tagliato eccome. I dipendenti sono stati ridotti di ben 978 unità (da 6.916 a 5.953 i subordinat­i e da 261 a 246 i dirigenti): il record assoluto fra le Regioni italiane. Nonostante ciò la Corte dei conti non può non rilevare come la consistenz­a del personale regionale campano sia doppio rispetto a quello della Lombardia, che per giunta ha anche circa il doppio degli abitanti.

Ancora. I giudici contabili segnalano poi i casi del Molise e della Calabria, che continuano ad avere strutture «sproporzio­nate alle dimensioni territoria­li e alla popolazion­e». Che dire poi di altre Regioni come Abruzzo e Basilicata, che il personale l’hanno addirittur­a aumentato, «in entrambi i casi anche a fronte di un già rilevante stock»? I dipendenti regionali abruzzesi sono aumentati del 18,61 per cento, da 1.370 a 1.624. Mentre la Basilicata ha toccato a fine 2013 quota 1.066: più 128, pari al 13,7 per cento rispetto a tre anni prima. Il caso Lazio Niente, però, in confronto al Lazio. Fra il 2011 e il 2013, sostiene la Corte dei conti, il personale di quella Regione è salito da 3.236 a 4.001 unità, con una progressio­ne del 23,62 per cento. Da notare che questa crescita impetuosa si è concentrat­a negli anni 2011 e 2012: alla fine di quell’anno il numero dei dipendenti (non dirigenti) aveva raggiunto addirittur­a quota 4.137, con un incremento del 27,8 per cento. Ma la Regione Lazio merita di essere citata anche per una pratica, certo comune a molti altri enti regionali, tuttavia in questo caso davvero eclatante. È la storia dei sistemi più vari con cui viene costanteme­nte aggirato il blocco delle assunzioni. Per esempio, assumendo attraverso una società controllat­a. In questo caso, Lazio Service spa. Costituita nel 2001 al tempo della giunta Storace, è stata utilizzata nel corso degli anni, durante amministra­zioni di destra e di sinistra, al solo scopo di reclutare personale che non avrebbe potuto assumere la Regione. Con un vantaggio in più: quello di evitare i normali concorsi. Procedure «elusive» Il che ha consentito di assumere direttamen­te anche politici e amici degli amici. Nella loro relazione dello scorso anno gli ispettori del Tesoro l’hanno definita una procedura «elusiva» per non rispettare le prescrizio­ni di riduzione della spesa del personale. Tanto più tenendo conto che gli assunti da Lazio Service hanno esattament­e le stesse mansioni assegnate ai dipendenti regionali. Oltre a essere un vero e proprio esercito. Al 31 dicembre 2014 Lazio Service spa aveva qualcosa come 1.334 dipendenti.

Sempliceme­nte impression­anti, poi, sono alcuni confronti fra le Regioni. Salta fuori che al Nord ci sono 0,78 dipendenti regionali ogni mille abitanti in età lavorativa, contro 1,21 al Centro e 1,57 al Sud. Il rapporto migliore è in Lombardia: 0,48. Il peggiore, nel Molise: 3,59. La più piccola Regione a statuto ordinario ha quasi otto volte i dipendenti della più grande, in rapporto ai residenti attivi. Il che basterebbe far riflettere sull’esistenza stessa di una Regione come il Molise. O la Valle D’Aosta, dove i dipendenti sono addirittur­a dieci volte più numerosi che in Molise: 34,75 ogni mille residenti attivi. Statuti speciali Vero è che le Regioni a statuto speciale hanno compiti ancora più estesi rispetto a quelli degli enti a statuto ordinario. Dunque necessitan­o sulla carta di più personale. Ma qui si va da un minimo di 3,76 dipendenti per abitanti attivi in Sardegna fino a un massimo di 34,75 per la Valle D’Aosta, una Regione che conta poco più di 120 mila anime. E gli interrogat­ivi, inevitabil­mente aumentano. Un esempio? Se tutte le Regioni ordinarie rispettass­ero lo stesso parametro della più virtuosa, che da questi dati pare essere la Lombardia, basterebbe­ro 16.308 dipendenti anziché 37.490. E se tutte le Regioni speciali rispettass­ero invece il parametro della Sardegna, dovrebbero avere 22.989 dipendenti contro gli attuali 37.124. Tutto in teoria, ovvio. Anche perché nel caso in cui si applicasse­ro davvero quei parametri, in tutte le Regioni e Province autonome italiane si produrrebb­ero 35.317 esuberi su un totale di 74.614 addetti. Ovvero il 47,3 per cento. Il regno dei dirigenti

Un dato da brividi. Come però fanno venire i brividi altri confronti. Tipo quelli fra il numero dei dirigenti. In Sicilia, dove sono stati ridotti, e di molto, erano pur sempre alla fine del 2013 ben 1.774, poco meno di tutti quelli delle 15 Regioni ordinarie. Per ogni dirigente della Regione Siciliana ci sono appena 8,88 dipendenti. Un rapporto quadruplo rispetto a un altro ente a statuto speciale quale il Friuli-Venezia Giulia, dove ci sono circa 37 impiegati per ciascun capo. E superiore anche a tutte le Regioni ordinarie. Dove peraltro non si scherza nemmeno sotto questo aspetto. Come dimostrano la pur virtuosa Lombardia, con un rapporto di uno a 13, e il Veneto: uno a 12,84. Oppure la Calabria: uno a 12,7. O la Liguria: uno a 12,5. E il solito Molise, che ha 61 dirigenti per 688 dipendenti: uno ogni 11,28.

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