Corriere della Sera

Perché cresce l’indifferen­za per la politica

- Di Aldo Cazzullo

«Un dato su cui riflettere». È il commento rituale ogni volta che arrivano i numeri, sempre in crescita, dell’astensione. Ma se un elettore su due non partecipa alla scelta del presidente della sua Regione, non si tratta di «un dato su cui riflettere»; è un allarme sulla tenuta della nostra democrazia.

Le cause sono molte, e più serie del «ponte» e del bel tempo. I privilegi, gli sprechi, i vitalizi, gli scandali che hanno macchiato la figura del consiglier­e regionale. Lo sfilacciar­si dei partiti tradiziona­li. La faida interna al Pd, culminata con lo psicodramm­a degli «impresenta­bili». La sensazione, inevitabil­e per l’elettore, di farsi quasi complice di un ceto politico ripiegato su se stesso, liquido, intercambi­abile, con casi limite come quello delle Marche, dove il «governator­e» di centrosini­stra si è ricandidat­o con il centrodest­ra. La scena strepitosa di Berlusconi che sbaglia comizio e arringa i militanti del Pd ne è la conferma: in quel comizio non c’era all’evidenza una sola bandiera, un’insegna, un drappo che lo connotasse.

La campana dell’astensione suona per tutti. La destra, da sempre maggiorita­ria nel Paese, fatica a mobilitare ovunque i suoi elettori, che non sono diventati tutti cacciatori di rom e seguaci di CasaPound. Grillo ottiene un grande successo, ma non è facile neppure per lui trasformar­e la rassegnazi­one in indignazio­ne, fare il pieno dei voti antisistem­a. E anche Renzi dovrebbe preoccupar­si.

Tradiziona­lmente l’astensione favorisce la sinistra. Ma la forza di Renzi è giocare la partita a tutto campo. Renzi non si è mai posto come antiberlus­coniano, ma come postberlus­coniano. È chiaro che l’outsider di Rignano non è paragonabi­le al padrone delle tv e del Milan (quello di Sacchi e Capello, non quello di Seedorf e Inzaghi), ma il messaggio che ha lanciato in questi mesi agli elettori delusi dal Cavaliere è stato chiaro: prima avevate lui; ora avete me. All’evidenza, quel messaggio non è passato del tutto. Così come non è ancora riuscito il tentativo di domare l’antipoliti­ca e farne una forza di cambiament­o: proprio ciò di cui Renzi avrebbe bisogno, per vincere le resistenze che incontrano le sue riforme.

Il tono medio del Paese non è più quello della rassegnazi­one e dell’autofustig­azione, come pareva ancora poco tempo fa. Ci sono segnali di una volontà di ricostruir­e, forse più significat­ivi dei flebili numeri della ripresa economica. C’è una volontà di partecipaz­ione che si esprime nel volontaria­to, nell’accoglienz­a dei profughi, nell’impegno sociale. C’è un mondo cattolico, spesso molto giovane, galvanizza­to dalla popolarità di papa Francesco. Eppure l’Italia della ricostruzi­one non si riconosce nella politica. La volontà di ripartenza non passa dalle urne. Perché la politica appare impotente. Inutile. In balia delle burocrazie europee. Tenuta sotto scacco non solo dalla Merkel o dalla Corte costituzio­nale, ma pure dal Tar del Lazio.

Eppure la politica non può arrendersi così alla propria irrilevanz­a. La nuova legge sui partiti sarebbe un passo importante: si deve attuare la Costituzio­ne, che impone il «metodo democratic­o» alla partecipaz­ione; e sarebbe bene introdurre norme certe per le primarie. Ma occorre fare molto di più per restituire fiducia ai cittadini. Serve una politica che decida e incida sulla realtà. E serve un taglio drastico a indennità, vitalizi, rimborsi e privilegi.

La fiducia mancante Le cause dell’astensioni­smo sono serie. Occorre fare molto di più per restituire fiducia ai cittadini

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