Trapianti, liste d’attesa in crescita e la speranza dalle nuove tecnologie
La protesi in titanio che aiuta il cuore di Anna. Il prototipo dell’organo artificiale totale
Anna Pernici, di Arezzo, 52 anni, da 5 anni e sei mesi convive con una turbina in titanio che aiuta il suo cuore. È la paziente italiana da più tempo supportata da un sistema di assistenza del ventricolo sinistro del cuore. La sua vita è cambiata, in positivo, dopo oltre 10 anni passati a lottare contro una cardiomiopatia dilatativa comparsa quando la signora Anna non era ancora 50enne e peggiorata nettamente attorno al suo 57° compleanno. Difficile il trapianto, a parte la carenza di donatori, per una pressione polmonare troppo elevata conseguente al suo cuore malandato. Così ha conosciuto Jarvik 2000, il nome della turbina in titanio che le hanno impiantato nel 2009 al Policlinico Le Scotte di Siena.
Un esempio. Una valida alternativa alle liste d’attesa per un trapianto di cuore. Tema ieri al centro della Giornata per la donazione degli organi, promossa dal Centro nazionale trapianti (Cnt) e dalle associazioni di donatori e di pazienti Aido, Admo, Aned, Acti, Aitf. Sono molti i problemi e le novità che caratterizzano attualmente il mondo dei trapianti d’organo. In Italia i trapianti di cuore, ad esempio, sono scesi dai quasi 350 del 2005 ai 226 del 2014. La domanda nello stesso periodo è rimasta stabile, con una lista d’attesa anzi cresciuta leggermente (da 702 a 719 pazienti che aspettano un cuore nuovo). Una lista da cui escono circa 300 persone l’anno, purtroppo anche nel peggiore dei modi (mortalità 6,1% pari a circa 60 decessi, dato 2013). Innumerevoli i malati che, a causa dell’età o di altri parametri incompatibili con il trapianto, non riescono neanche ad entrare nel gruppo in attesa
Il 23 dicembre del 1954 alle 8.30 del mattino Joseph Murray e i suoi colleghi all’ospedale Peter Brigham di Boston prelevarono a Ronald Herrick — un ragazzo di 23 anni perfettamente sano — uno dei due reni per trapiantarlo a Richard, il gemello identico ammalato di una grave forma di nefrite. Non era mai successo prima. Richard riprende a urinare già in sala operatoria e avrà una vita bella e piena per molti anni («C’è stato un silenzio di tomba in sala operatoria quando il rene ha cominciato a colorarsi con il sangue del ricevente e si sono viste uscire dall’uretere le prime gocce di urina»). Da allora a oggi di trapianti ne sono stati fatti più e sperare.
La tecnologia interviene per cercare di limitare il differenziale tra domanda e offerta di organi: si ricorre a protesi artificiali, sia come soluzione temporanea in attesa di trapianto sia come terapia permanente. Inoltre, apparecchiature di nuova generazione consentono di migliorare la conservazione degli organi prelevati dal donatore e di allungarne i tempi di disponibilità. È grazie a questi nuovi sistemi che a marzo di quest’anno in Inghilterra, per la prima volta in Europa, è stato possibile espiantare un cuore ormai del tutto fermo, riattivarlo e recuperarne la funzione.
Oggi, se c’è una donazione si attiva un sistema di allerta gestito dal Cnt o dai corrispettivi Centri Regionali (dipende dal tipo di organo). Nell’arco di poche ore il potenziale ricevente deve essere contattato, accettare la donazione, recarsi presso la propria struttura di riferimento e prepararsi all’intervento. di un milione, persone destinate a morire nel giro di settimane o mesi, pensiamo al trapianto di cuore, o di fegato, tornavano a una vita normale. Per quanto? Rene, cuore, fegato e altri organi hanno aggiunto a chi li ha ricevuti più di due milioni di anni di vita solo negli ultimi 25 anni e solo negli Stati Uniti. Come lo sappiamo? È bastato confrontare quanto hanno vissuto i 533.329 americani iscritti al Registro nazionale dei trapianti che hanno avuto un organo con i dati di 579.506 ammalati iscritti allo stesso Registro che però al trapianto non ci sono mai arrivati. L’allungamento della vita è stato di 1 milione e 373 mila anni per chi ha avuto un trapianto di rene; 465.296 anni per chi ha avuto un nuovo fegato e 269.715 anni per il cuore, poi ci sono L’organo donato arriva entro 3-6 ore con mezzi delle forze dell’ordine, o con trasporti aerei dedicati, e viene conservato all’interno di freezer portatili non molto diversi da quelli dei picnic domenicali.
Poi vi sono i cosiddetti cuori artificiali di ultima generazione. Correttamente si tratta di supporti elettromeccanici alla funzione ventricolare. Portatili ed alimentati a batteria: il paziente può attendere il trapianto mantenendo un’accettabile qualità di vita. Il cavo di alimentazione rappresenta però un problema: passando all’esterno del corpo attraverso la parete addominale, costituisce una pericolosa porta per le infezioni. Per questo motivo va polmone, pancreas e intestino. A stellar accomplishement secondo gli autori del lavoro pubblicato di recente su «Jama», insomma un risultato che ha del miracoloso e che ha lasciato senza parole anche me. Se si estrapolano i dati del Registro nazionale degli Stati Uniti ai trapianti fatti nello stesso periodo in tutto il mondo si arriva con buona approssimazione a più di 5 milioni di anni di vita in più per chi ha ricevuto un organo dal 1987 a oggi. E pensare che quando il dottor Murray ha cominciato a dedicarsi giovanissimo alla chirurgia dei trapianti uno dei suoi colleghi gli disse «Joe non farti coinvolgere in questa storia, rovinerà la tua carriera». Murray è andato avanti. Adesso sappiamo che aveva ragione lui.
I numeri
Anna Pernici, 52 anni, di Arezzo (
è la paziente italiana che vive da più tempo grazie a una turbina di titanio che assiste il suo ventricolo sinistro: 5 anni
Sono 719 i pazienti in lista d’attesa in Italia nel 2015 per avere un trapianto di cuore. Una domanda che è rimasta stabile rispetto allo stesso periodo del 2014 (702), quando i donatori per tutti gli organi sono stati 2.346 regolarmente medicato e tenuto sotto controllo.
Se però l’opzione trapianto non è percorribile, c’è qualcosa di ulteriormente evoluto. Come quello della signora Anna. Si tratta di supporti elettromeccanici (chiamati anche Vad, Ventricular assist device) alimentati da un cavo che dal cuore, passando all’interno del corpo, risale fino alla zona dietro l’orecchio, particolarmente adatta perché ben vascolarizzata e molto più solida dell’addome. In tale area il chirurgo applica sul cranio una sorta di spinotto che fa da interfaccia tra i cavi interni, collegati al device, e i cavi esterni, che portano alle batterie e alla consolle di controllo. La qualità di vita è altissima, basti pensare che i pazienti possono anche fare il bagno e la doccia. Un vero lusso per chi vive agganciato a delle macchine, seppur evolute e sempre meno ingombranti. Macchine che, come nel caso di Anna Pernici, diventano parte del corpo stesso, a parte lo
Meno interventi In Italia gli interventi sono passati dai 350 del 2005 ai 226 del 2014 Più piccoli In futuro si punta su impianti ancora più miniaturizzati e con batterie a lunga durata
spinotto che spunta da dietro l’orecchio.
« Con questo sistema — spiega Guido Sani, direttore delle Terapie avanzate per lo scompenso cardiaco del Careggi di Firenze e coordinatore del Centro regionale trapianti di cuore — la signora Anna ha riguadagnato il piacere e la voglia di vivere, ha allargato il suo negozio nel centro di Arezzo e si gode oggi figli e nipoti in questa sorta di seconda vita». Il futuro dei device? «Batterie con prestazioni migliori e ulteriori miniaturizzazioni, mentre in Francia si guarda con attenzione alla sperimentazione sull’uomo del cuore artificiale totale Carmat » , un prototipo completamente impiantabile giunto al terzo caso (l’operazione è avvenuta l’8 aprile scorso). I primi due pazienti, in scompenso cardiaco terminale e non candidabili a trapianto, sono sopravvissuti con questo tipo di cuore rispettivamente 74 giorni e 9 mesi.
Quei milioni di anni di vita guadagnati